I lettori che hanno appena raggiunto o superato la soglia degli "'enta" conosceranno bene la sensazione che si prova ad ogni nuovo soffio sulle candeline, il senso d'impotenza nel guardare allontanarsi progressivamente il periodo più spensierato dell'età.Tra questi, coloro i quali hanno vissuto i propri giorni verdi al ritmo dalle pubblicazioni di Epitaph, Fat Wreck, One Side Dummy, Victory, Drive-Thru, Wynona e via dicendo, non potranno non provare per alcune delle band dell'epoca quella sorta di affezione che trascende il valore delle stesse e delle rispettive proposte musicali. E questo é, in breve, il sentimento che mi lega ai blink-182.

Scaraventati dal circuito skate-punk californiano al successo planetario grazie a quel monolite commerciale che fu "Enema Of The State" del 1999, giunti all'apice della carriera nel 2003 con la pubblicazione di un disco untitled in grado di mettere d'accordo per la prima volta pubblico e critica, Mark Hoppus, Tom DeLonge e Travis Barker si sono fregiati del merito di aver avvicinato 2 intere generazioni di "kidz" al pop-punk, aprendo a quelli maggiormente predisposti le porte di quel meraviglioso miracolo Made in U.S.A denominato punk-rock.

A proposito dello scioglimento del 2005 e delle relative cause, sul significato e gli esiti della reunion del 2009 e sulla successiva cacciata di De Longe da parte dei suoi ex compagni, nonché sul peso dell'assenza dello storico chitarrista nel proseguo dell'attività di Hoppus e Barker si é detto, letto e sentito di tutto.La più stretta attualità riguardo il trio los angelino parla dell'ingresso in pianta stabile di Matt Skiba degli Alkaline Trio, di una release non esattamente memorabile ("California") della nuova formazione nel 2016 e della sua versione deluxe nel 2017, un tour mondiale, diverse tournée in giro per gli states e nientemeno che una residency al Palms Casino Resort di Las Vegas.

Poi un nuovo disco con gli Alkaline Trio per Matt, l'ep del side-project elettro-pop di Mark assieme ad Alex Gaskarth degli All Time Low e la solita, infinita serie di collaborazioni per Travis Barker, capace di dividersi fra esperienze di palco come turnista per Aquabats, Strung Out e Goldfinger (tanto per citarne alcuni) ed impegni in studio con una lunga lista di artisti fra i maggiori del panorama rap ed hip-hop internazionale, a dispetto di una sequenza di malanni ed infortuni che non ne hanno minimamente scalfito la proverbiale tempra.

Fino al 20 settembre scorso, data di uscita di "Nine", preannunciato da Hoppus come un lavoro concettualmente paragonabile all'untitled per la singolarità della sua gestazione e l'approccio sperimentale in fase compositiva, per tanto significativamente atteso da tutta la fanbase, anche in virtù di un'intesa che si presuppone oramai consolidata con Skiba.

E di novità a livello sonoro, a sentir bene, é pieno il disco:non é il caso di farsi traviare dell'opener "The First Time", trattasi di un rigurgito della penultima, pasticciata release.Scordatevi il punk-revival di "Dude Ranch", la ricerca di suoni puri (album untitled) e le velleità alt-rock di "Neighborhoods", il lavoro che i blink-182 consegnano ai fans nel ventennale di "Enema Of The State" é una compilation di brani da studio abilmente manipolati da quella che potremmo considerare la Justice League dei produttori del momento, su tutti The Futuristics (firmatari di successi di Lady Gaga, Selena Gomez, Camila Cabello, tanto per capirci...), Sam Hollander (One Direction, Metro Station, Kelly Rowland...) e Tim Pagnotta (se non conoscete gli Sugarcult la colpa é solo vostra).

La batteria di Travis Barker, ad esempio, é ovunque, a qualunque tempo, sotto qualsiasi forma (compresa quella campionata) e non potrebbe essere diversamente, dal momento che un buon numero dei quindici nuovi componimenti ha avuto origine da un diverso beat del nostro. L'elettronica, poi, sostiene ed in parecchi casi sostituisce in toto la chitarra come succede oramai in gran parte dei dischi rock più spudoratamente 'radio oriented' da qualche anno a questa parte (vedi alla voce 30 Seconds To Mars, Muse, Imagine Dragons ecc.) E che dire dell'effettistica sulle voci?Fastidiosa, certamente, eppure disgraziatamente necessaria per armonizzare il cantato alla molestia di certi suoni fiondati in cuffia in maniera a dir poco inopportuna direttamente dall'expander di casa Feldmann, confermato al comando delle operazioni.

Perciò ecco, sostenere che i blink-182 abbiano inventato qualcosa di nuovo sarebbe inesatto, le tendenze del momento sono note e non risparmiano nessuno, eppure negare che questo "Nine" abbia effettivamente un ché di sperimentale lo sarebbe altrettanto, considerando l'estrazione dei tre musicisti ed il percorso, al netto dei cambi in line-up, compiuto da "Flyswatter" ad oggi;proprio nel momento in cui la carriera del combo sembrava essersi definitivamente impantanata, rendendo gioco facile ai detrattori nell'appiccicare la più pesante delle etichette di band scadente per un pubblico in età prepuberale, i nostri compiono la terza, monumentale opera di trasformazione della loro storia. Ne sono prova il pugno di marsh mallows infilato in bocca di forza assieme a "Blame It On My Youth", la spavalda piacioneria di una "Black Rain" che abbraccia la dubstep oltre i limiti consentiti dalla legge, l'equilibrio alchemico fra i morbidi fraseggi e le ritmiche hip-hopeggianti delle strofe di "I Really Wish I Hated You" e le epiche aperture stadium rock del suo refrain, le atmosfere nebbiose e rarefatte di "Remember To Forget Me" e le rispettive soluzioni stilistiche decisamente abusate a livello generale ma tutt'altro che scontate per chi ha fatto del 'sing-along' una missione per più di 20 anni prima di oggi.

«Tutto quí?Che ne é dei riffs e dei chorus memorabili?Cosa canteranno i ragazzi di ieri ai live di Hoppus e soci di domani?»

Beh, Skiba non é De Longe, i due stili sono molto diversi fra di loro ed il paragone é fuori luogo, sarebbe come chiedersi se vada più forte il treno o se sia più buona la cioccolata, però tranquilli, "Happy Days" non sarà progettata per essere una hit ma somiglia molto da vicino ad un'ipotetico remake di "Strings" 25 anni dopo la pubblicazione dell'originale ed é a suo modo un pezzo onesto, sincero, che acquisisce via via una certa potenza fino ad implodere su sé stessa in un bridge come non se ne sentivano da "Take Off Your Pants & Jacket".L'effetto amarcord é assicurato per chiunque conosca come le proprie tasche la legacy dei blink sin dagli esordi griffati Kung Fu Records ed abbia il coraggio di tendere l'orecchio oltre l'apparentemente insormontabile muro di synth e ci consegna una delle pagine più intime mai condivise da Mark Hoppus.

"Heaven" é quel che rimane al ragazzone di Ridgecrest dell'esperienza con i +44, evidentemente non una cosa di poco conto ma che non rappresenta in alcun modo una fonte di imbarazzi per nessuno anche grazie ad una sezione ritmica fra le più solide del disco e ad un lavoro di fino a livello vocale da parte di Matt Skiba, che finalmente pare essersi orientato correttamente nel tempo e nello spazio, anche se limitato all'uso dello strumento di cui sopra mentre "Hungover You" é il risultato della fecondazione in vitro di "Violence" del 2003, privata della sua componente più grezza ed irruenta in favore di una massiccia iniezione di suoni elettronici ad enfatizzare i bassi, oltre che di personalitá.

Venghino sióri!

Attraverso i quindici paragrafi di questo "Nine" si trova spazio un po' per tutto:"Darkside" é la leva con su scritto 'indietro' della macchina del tempo che ci conduce fino ad "Hot Fuss" dei The Killers ed in generale al momento d'oro dell'indie-rock, prima che ci fracassasse irreparabilmente i maroni.Travis Barker si cimenta in un levare da dance-hall decisamente inedito per la discografia dei blink-182 e la voce di Matt ci catapulta dritti alla prima vera hit di turno.Addirittura c'è tempo (pochino a dire il vero) per una fiammata hardcore-punk poco plausibile ed onestamente fuori tempo massimo come "Generational Divide"; persino una corrente nascosta troppo frettolosamente sotto al tappeto per la vergogna come l'emocore torna a vivere per i 3:40 dell'ottima "No Heart To Speak Of" e, neanche a dirlo, in "On Some Emo Shit".Saranno (assieme ad "Hungover You") gli unici episodi in cui Skiba giganteggia alla sua maniera come mai accaduto dal suo inserimento in line-up, perché sul serio, l'organo in accompagnamento alla deliziosa linea vocale nell'intro di "Black Rain" non meritava un così infausto destino.

«Si, ok.Ma il panc?»

Beh, ammesso e non concesso che i nostri abbiano mantenuto qualche elemento vagamente assimilabile al punk-rock degli esordi durante il percorso di affinamento dei tratti distintivi del loro sound, non manca qualche momento nostalgia, durante i quali é persino piacevole confondere i blink-182 pre Skiba con quelli post De Longe.Per esempio "Ransom", la traccia più blink dell'intero "Nine" che però, paradossalmente, risulta anche la sola fuori focus, per non dire caricaturale, rispetto alla direzione sonora dell'album.Decisamente meglio la newfoundgloriana "Pin The Grenade". "Run Away", invece, é il trait d'union di stampo prog-rock fra ciò che é stato "Neighborhoods" e ciò che ci si sarebbe aspettati come minimo dall'approssimativo "California".

E così, quando dopo 41:40 cala il sipario su "Nine", tutto quello che conoscevamo a proposito dei blink-182 finisce per essere messo in discussione;non si può dire che i nostri non si siano presi dei rischi nel tentativo di svecchiare il catalogo con un prodotto indubbiamente attuale ed allineato (anche troppo...) alle maggiori pubblicazioni da hit parade contemporanee.

E comunque, a dispetto di tutto il lavoro da artiglieria pesante affidato alla super produzione, appare evidente come a livello lirico Mark sia rimasto lo stesso di sempre.È genuino, onesto, risulta difficile trovare qualcosa di artificioso o premeditato in quello che scrive.L'anima é la stessa dai tempi di "Wasting Time" e "Fentoozler".Per ciò che concerne la percezione dei nuovi pezzi, incide poco il coming out riguardo i problemi di depressione alla vigilia della prima release ufficiale dei "Simple Creatures", in fin dei conti ciò che ha realmente permesso ai blink-182 di differenziarsi dal mucchio di band da MTV dei primi 2000 é sempre stata la forte assonanza fra stilemi e tematiche ai limiti del bipolarismo e soluzioni ritmiche immediate e senza troppi tecnicismi.

D'altra parte, il consolidamento della posizione di Matt Skiba all'interno della band poteva aver dato ad alcuni la speranza di veder finalmente risollevati verve e suono di un progetto il cui discorso sembra essersi interrotto proprio sul più bello con lo hiatus nel 2005:tanto gli Alkaline Trio quanto il side-project solista Matt Skiba & The Sekrets sembravano argomenti ideali per contribuire alla missione, evidentemente i presupposti del nuovo sodalizio sono altri.

I blink-182 danno l'impressione di essere dei sopravvissuti ad un bivio cruciale per la loro carriera, quello di fronte al quale dover scegliere se continuare a riciclarsi nel cliché di band veterana del pop-punk che l'avrebbe decapitata oppure scrollarsi di dosso una volta per tutte l'ingombrante reputazione di stereotipo punk da classifica, oltrepassare il perimetro del rock commerciale ed abbracciare la via del pop senza compromessi, assicurandosi di prolungarla per diversi anni ancora.

E la sensazione, alla fine, é che il trio los angelino abbia rimandato il discorso al prossimo disco, a patto di andare fino in fondo alla faccenda hiatus, le dipendenze e la quasi morte di Travis, la scomparsa dello storico amico-produttore Jerry Finn, una reunion che col senno del poi ha il sapore amarognolo di aspartame delle caramelle senza zucchero e tutti gli altri discorsi lasciati in sospeso da "Neighborhoods" ad oggi e addosso ai quali hanno il dovere e l'obbligo di andare a sbattere per il loro bene in primis, poi per il futuro della band.

Oppure, molto più semplicemente, se ne siano bellamente battuti i coglioni com'è nella loro natura (alzino la mano coloro che dopo la doppietta "Enema Of The State"/"Take Off You Pants And Jacket" si sarebbero aspettati un disco di rottura) in barba a fans intransigenti, detrattori e vedove De Longe.

E se con "Neighborhoods" seppero mettere su disco il suono della vita da separati in casa ed in "California" quello da ansia da prestazione fondata sul sentito dire e sulle altrui aspettative, "Nine" altro non é che il disco che i blink-182 avrebbero potuto e dovuto pubblicare al posto del suo predecessore quando il mondo li aspettava al varco, buono per battere un colpo in un momento storico in cui le distinzioni di genere sono sempre più labili ed in attesa di capire cosa fare da grandi, ma che ci dispensa comunque una verità in senso quasi assoluto:é sbagliato pensare che con Tom De De Longe i blink non sarebbero finiti ugualmente nel tritacarne di questo music business cosí marcatamente segnato da Billie Eilish e colleghi.Perché i blink-182 non sono i Bad Religion e Geffen, Sony, MCA non sono Epitaph o Drive-Thru.

P.S:i blink non suonano punk-rock dal 1998.E a Mark non é ancora passata.

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