StefanoHab è tornato. Ciao ciao. Evviva evviva. Sommerso da una marea di cose da fare, tra il guardare la luna ed ascoltare gli album che di giorno in giorno si aggiungono alla folla con i loro fratellini che mi accompagnano da 5 anni, da quando iniziai ad accumulare CD a manetta (o "a muntone", come si suol dire dalle mie parti in quel di Taranto), ed OGNI TANTO studiare per qualche esamuccio universitario. Bazzecole.

Fatto sta che lo Stronzo (io) non scrive su DeBaser da mesi e mesi ormai, e l'unico plausibile motivo per cui ho scritto una prefazione del genere di cui ovviamente non importa un piffero secco a nessuno né ora né mai, e per cui mi riaccingo a quest'ora della notte a ritastare con un tocco di fremito giovanile le dita sulla tastiera per riscrivere una recensione come ai bei tempi… è che ho tra le mani qualcosa… che vale la pena recensire. Qualcosa per cui vale la pena vincere il sonno e buttare giù due righe, sperando che qualcuno, lì fuori, possa ascoltarti. Qualcosa per cui vale la pena farsi da parte, stare zitti, spalancare le orecchie Dumbo style e ASCOLTARE (il maiuscolo, almeno stavolta, era d'obbligo).

I Bokor sono una realtà che inconsciamente desideravo da fin troppo tempo. Non esiste onnivoro musicale, a mio avviso, che non abbia mai sognato di incontrare in vita sua una band in grado di miscelare con chirurgica precisione le influenze più disparate, che mette in scena riff di una personalità fuori dal comune con naturalezza ed originalità strettamente non-ordinarie, e che richiama alla mente un minestrone sbalorditivamente "omogeneo" delle band che apprezza di più. Avevo 15 o 16 anni quando sognavo una band così. Ora ne ho 20, e l'ho trovata.
Svedesi, mannaggia. Ambivo ad avere in Italia una band così, ma devo nuovamente riconoscere che la garanzia regna sovrana in terra scandinava. "Bokor" però non ha nulla di scandinavo, è una parola haitiana che rimanda a una sorta di mago o stregone voodoo (a cui si ispira il testo della terza canzone), che pratica magia malvagia e che si impadronisce del Gros Bon Ange (grande angelo guardiano), una delle due parti di cui è composta l'anima umana, trasformandolo in una specie di "spiritual version" del comune zombie da horror movie di serie B, mantenendolo prima in uno stato dormiente per poi usarlo come schiavo successivamente a corpo rafforzato.

Per stessa ammissione della band è stato il film "Il Serpente e l'Arcobaleno" ad ispirare questa figura per la loro musica, fatto sta che agli addetti ai lavori sembra più che sia la band stessa a compiere magie voodoo, con due bacchette di batteria al posto della bacchetta magica, con un basso, due chitarre e soprattutto una voce che sa farsi strumento e vivere nei brani come raramente accade di ascoltare…
Si parlava di contaminazione tra band. Fin qui tutto ok, ma… quali band? Iniziamo col dire che l'incipit del disco, la botta iniziale, è data da un brano squisitamente Mastodon nel mood e nelle strutture, c'est à dire, quanto di più evoluto possiate aspettarvi dal metal peNsante oggigiorno. Poi tutto si blocca e la voce diventa protagonista, sdoppiandosi e trasformandosi in qualcosa di molto vicino ai System Of A Down d'oro, ma se possibile ancora più calda e trascendente. Sempre con due chitarre che non mollano mai, e accompagnano la voce di Lars Carlberg fino ad uno stato di estasi assoluta, che ripiomba in strutture stralunate, come se gli stessi System Of A Down abbiano deciso di intraprendere una strada più rockeggiante, postcoreggiante (risparmiatevi battute) e stranamente, più estrema.

"Crawl" è tutto questo. E l'influenza System si fa palpabile anche nel successivo momento di calma eterea che riesce a calmare i sensi e ad eccitarli contemporaneamente e se no è questa una dimostrazione vera di Classe & Talento, ditemi voi cosa lo è. Mistica. La successiva "Best Trip" conferma l'idea. Ci potrei sguazzare nel suo riff d'apertura, e in quella splendida chiusura del riff che da anni avrei voluto ascoltare e solo a ridosso del 2007 è stata composta. Groove impressionante. E la canzone va avanti senza lasciare fiato, con un intermezzo simil-pop, per poi sfociare in riffoni hard rock sapientemente dosati con una maestria che, ahimé, farebbe l'invidia a molti mostri sacri pantofolai… e l'assolo finale condisce a puntino il tutto. "The Island" parte di attacco hard rock purissimo per ritornare ai System, con l'inconfondibile timbro nasale, e con un ritornello che scalda il cuore e vi basti sapere questo prima di ascoltarlo. Azz ma che succede? Impazziscono. Prepotentemente i Mastodon si riaffacciano sulla scena, e ora sono "volatili per diabetici" (Lino Banfi docet). Chiusura del pezzo che definirei liturgica. Altro che voodoo. E le chitarre giocano ad acchiapparello ed entriamo nell'area più sperimentale del post-core moderno.

La successiva "Covert Intro" mi ha letteralmente segnato. Meravigliosa, gente. Inizio pacato e spirituale con cori ancestrali (e a tal punto sto talmente dopato che mi sembra di vedere le gambe di Tira in SoulCalibur 3 che si muovono in modo provocatorio e ammaliante… ), e la chitarra stessa si fa "ammaliante" come una bella ragazza che balla la danza del ventre a 2 cm dal tuo bel visino. Un soffio del ritornello si perde nei ritmi tribali ed orientaleggianti del pezzo, con la voce di Lars ancella del dolore. Ma poi ritorna quel ritornello, uno dei migliori mai ascoltati da molto tempo a questa parte, dolce, romantico, una carezza all'anima. Lo riascolto subito dopo perché non resisto, sto per versare una lacrima. E la voce di Lars si contorce e si butta in un attacco stile Rob Flynn nei Machine Head dell'ultimo album, ma molto più drammatici, e poi impazziscono richiamando gli onnipresenti Mastodon. Ma come non vedere l'ombra dei Tool in tutto questo? Non è solo a Serj Tankian che Lars si rifà, ma soprattutto al buon vecchio Maynard… Stesso dicasi per l'avvolgimento sonoro di certi passi chitarristici. Goduria pura, che sia strumentale o cantata. E alla fine del pezzo Lars ansima prima dell'assolone finale. Ma chi cazzo sono questi… non credo che riesca ad esistere una band così, è allucinante. E ppure esiste… Anche il fantasma degli Opeth aleggia in tutto questo, contateci…

"Migration" è la botta quasi-finale. Un pezzone di 15 minuti tra andirivieni di chitarre ambient e ci ritornano alla mente i '70, il prog dei Genesis, la psichedelia dei Pink Floyd, i Porcupine Tree, eccetera eccetericcio. Liturgici, ancestrali, meravigliosi. Non me la sento di continuare. Il pezzo continua su livelli altissimi ed esplode nel finale, con un attacco che distrugge ogni cosa e la comparsa di un growl accompagnato dal pulito di Lars, prima di un riff finale ossessivo e opprimente che avvolge dolcemente… E con l'ultima "Avert Your Eyes" si ritorna a picchiare duro, la canzone in assoluto più vicina ai Tool di tutto disco a mio avviso, un andirivieni di chitarre dal groove devastante ed è difficile uscirne tutti interi… "Anomia 1" lascia confusi e incerti e ci si chiede come sia stato possibile. Un debutto. Gente parliamo del primo album e sembra che prima ce ne siano stati altri dieci a precederlo tanta è la carne messa al fuoco, la classe e la maestria compositiva.
Il tutto si riassume nel fatto che non sarei mai tornato qui a dilettarmi con una recensione in DeBaser a pochi giorni da un paio d'esami che mi stanno torturando mente e cervello, se solo il disco qui recensito non fosse… speciale.

Un album speciale. Un bijoux. Non importa definirlo in qualche modo. Va ascoltato. Almeno una volta nella vita, almeno come sfizio, va ascoltato con attenzione poi si può tornare a cazzeggiare tra libri e playstation. Come i nostri genitori più rockettari rispolverano ogni tanto i vecchi vinili dei Rolling Stones, così un giorno potremo dire ai nostri figli "quando avevo la tua età esisteva un gruppo chiamato Bokor… ". Ci butto la mano sul fuoco che questo disco farà questa fine.
Good night and good luck.

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