Oh vecchia house, vestita di electro.

L’apertura più aperta che c’è, poi passo vagamente claudicante. E folate, alla nuca di frastagliate movenze di un timbro oscillante, della minima marea sintetica. Rimembrante (“Night Falls”)
Linguaggio del corpo palpitante? Restyling pimpante di singolo vincente: reiterata e cangiante, piccola idea che ne ha tante (“Body Language”)
Ancora come perdendo colpi per accendere bagliori: dialogo muto in funzionale fuori sincrono. (“Shimmer”)
Fila e strocca, furbetta che si finge sciocca, perlaceo sorriso beffardo, crepitante scherzetto leggero da sovra pensiero (“Paper Moon”)
E spot violacei per inquadrature acide: il tempo d’un lampo e cambia il frame. Fuori di lì, in un blu di pianoforte e umida apnea, galleggia un’imitazione di lady abbandono (“Beats And The Beats/At The Window”)
Ed è subito sfera.
Scura.
Dancefloor deserto, sequenze notturne e flash di ricordi a grappoli (di un’altra identità) nella testa dell’addetto alle pulizie, prima o dopo il carnaio ( "Darko”)
Cartolina d’oriente birichina, olografia esitante, secca e floreale, (“Hide And Seek In Geisha’S Garden”)
E rotola trottola multicolore negli occhi, turbinosa pulsazione alle tempie, drink alla vertigine sottile: stordita ma ordita, marimba pervertita (“Pong Pang”)
Seduzione insistente, rimbalzo e fuga, microinciampio, microrisalita. Insistenza reiterata, strato su strato e poi spogliata. Buccia di succo, spezzettata e spremuta. Prestigiocosa, perché intera è servita (“Mandarine Girl–Album Version”)
Vocodica biglietteria robotica, per viaggio circolare con vocazione frattale (“Take A Ride”)
Soffio su lande di battiti incastrati nel vuoto siderale, dejavù melodico al gusto digitale (“Wasting Time”)
Elementare, minuscola linda scatola sterminata, capsula monoposto in dedalo rettilineo (“In White Rooms”)
Spirale attorcigliata a pulsazione fonda, tentazione dubbosa, evocazione mantrica, coro che si fa onda (“Hallelujah USA”)
Carillonica, immersa in vapore onirico, tunnel acquatico e manto stellare, saluta da lontano nell’atto di svanire (“Lost High”)

“Movements” (Get Physical 2006) oggi, qui, suonava così.
Un pastiche, eclettico, non troppo imprevedibile, ad opera di un duo che aveva già piazzato, dopo un album d’esordio, due singoli di successo con “Body Language” e “Mandarine Girl”.
Se siete frequentatori assidui e vecchi marpioni delle galassie elettroniche con tentazioni clubbiche ne sapete molto più di me. Se invece vi capita di scivolarci ogni tanto, probabilmente apprezzerete la padronanza mai ridondante delle schegge manipolate, le architetture leggermente sghembe dei brani, la mutevole coerenza del flusso. Insomma, non pare disco costruito intorno a due “hit”.
Fornisco assaggi samplici e una personale valutazione numerica: quasi quattro.

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