Che Brad Mehladu sia o meno, come molti proclamano, il più influente pianista della sua generazione, non ho potuto resistere al richiamo di un suo concerto solista nella mia città. Le produzioni soliste dei grandi musicisti sono qualcosa che mi appassiona enormemente, adoro la sensazione di intimità che sprigionano: se parliamo di piano jazz, “Alone” di Bill Evans e “Thelonious Himself” di voi potete immaginare chi, sono i miei dischi da isola deserta. Detto ciò, “Elegyac Cycle” e i due album live di Brad Mehldau non mi diaspiacciono affatto.



Piccola parentesi. Se c’é una cosa insopportabile é la passione malsana di certi popoli per il mettersi in fila. Non fraintendetemi, é un’ottima cosa la capacità di formare file e rispettarle, ma non sempre é il caso. Tipo: se c’é un atrio enorme e formi una fila dritta, cento persone bastano a riempirlo. E poi gli sfortunati che arrivano dopo devono accalcarsi sul fondo per non congelarsi fuori. Tutto questo sbatti per poi far collassare la fila al momento dell’apertura della porte: siamo al confine tedesco, ma, infondo, con Marsiglia condividiamo la lingua.



Il Nostro é casual, come sempre, e parecchio smagrito rispetto alle foto degli anni zero. Mehldau inizia subito con un pezzo tirato, senza sconti, che rende un po’ arduo acclimatarsi con l’acustica della sala ed il timbro dello strumento. Nel suo tipico stile solista crea un magma sonoro, in un modo quasi percussivo, da cui emergergono di volta in volta spunti lirici e linee melodiche più o meno cantabili. Assemblando materiale eterogeneo crea delle suites di più movimenti, che si aprono con l’esposizione del tema nel primo movimento e richiamano lo stesso in chiusura dell’ultimo, utilizzando una grande varietà di atmosfere ed approcci. Nel corso del concerto si spazia da momenti ove traspare la sua formazione classica, à la “Elegiac Cycles”, ad altri dove dimostra di sapere cosa sia lo swing, spingendosi ai limiti del rock n roll incendiario di Jerry Lee Lewis. Il tutto é tenuto insieme da momenti di forte lirismo, con una continua stimolazione dell’ascoltatore ora in una direzione ora in un’altra. E’ affascinante osservare come la linea melodica sia palleggiata tra la mano destra e la sinistra di Mehldau.



Sebbene Mehldau sia noto per la caratteristica, un po’ geniale e un po’ paracula, di usare temi provenienti dalla musica leggera (Nick Drake, Radiohead, Nirvana e chi più ne ha più ne metta), non sono riuscito ad identificarne alcuno nel corso del concerto. Solo per il bis ho potuto gongolare, quando il nostro ci ha regalato inaspettatamente “Don’t Think Twice, It’s All Right” di Bob Dylan.



Nel complesso una performance molto coinvolgente ed emozionante, forse giusto un po’ corta (un’ora e venti), ma vista l’intensità con la quale suona glielo si può perdonare.



Ciao Brad, torna a trovarci.


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