Il doppio, il cinema e la realtà, il voyeurismo nella vita e nella finzione, il cinema hitchcockiano e la sua tensione narrativa canonica, il disincanto della pornografia, la patina degli anni Ottanta, le musiche di commento classico e le canzoni synth pop. C’è davvero tutto in questo film di Brian de Palma, c’è forse il momento d’incontro tra uno dei cinema per eccellenza, quello di Alfred Hitchcock, e le nuove tendenze di una società e una cultura sempre più spietata, pornografica, cinica.

Pur con una narrazione agilissima e scorrevole, il grande cineasta inserisce una serie di spunti teorici, di riflessioni sul cinema stesso, di giochi metanarrativi. Uno dei più interessanti riguarda la finzione che si annida nella realtà, in quella che crediamo sia la nostra vita vera. Non è infatti sempre tale, c’è uno iato tra la pura verità e l’immagine della stessa, che può sempre nascondere delle sacche di finzione quasi impossibili da distinguere nel fluire delle giornate.

Il discorso è portato avanti sottilmente, attraverso le due differenti e antitetiche dimensioni. C’è la vita del protagonista Jack e il set del film del regista Rubin. Se nel secondo si ricerca la verosimiglianza, pur nella dichiarata falsificazione che sta all’origine della forma artistica, nella prima le insidie sono maggiori, i piani si confondono continuamente. Il cinema allora si rivela come meno mistificatorio e falsificante della vita, perché si poggia scopertamente sulla finzione, quasi goffamente a volte. La vita è la vera insidia, la vera sfinge conoscitiva per l’uomo.

Cinema e vita comunicano inevitabilmente: una vita infelice porta a prestazioni attoriali insoddisfacenti, e sarà proprio il cinema a dare uno spunto al protagonista per salvarsi la pelle al momento decisivo. E il successo nelle vicende reali dell’attore si riverbera su un suo ritrovato brio recitativo. Perché la carne e gli umori sono sempre presenti: se la narrazione è fittizia, non sono finti gli attori che la portano avanti, non sono finti gli spazi angusti in cui devono stare, non è finta l’acqua calda o fredda che scende in una doccia, come non lo sono i seni di una controfigura.

Il voyeurismo del protagonista, come già in celeberrimi antecedenti hollywoodiani, non è altro che una riproposizione stilizzata della forma cinematografica, all’interno della vita. Dunque l’esistenza presenta innumerevoli forme di visione e conoscenza che ricalcano le modalità del cinema: e cioè ripropongono quello stesso distacco, quell’impossibilità di verificare sempre tutto, di andare oltre ai propri limiti percettivi imposti dal medium, che sia la messa in scena decisa dal regista o i limiti di un cannocchiale puntato sulla casa della vicina.

De Palma dissemina il suo film di questi spunti, più o meno evidenti. Forse non tutta la critica ha capito fin da subito questa pellicola perché alcuni nuclei tematici sono davvero appena accennati e richiedono grande riflessione da parte dello spettatore.

L’opera ha l’enorme pregio di non fermarsi alla forza concettuale, trascurando il resto. Body Double è un film di grande intrattenimento e affabulazione, con inseguimenti, suspense, colpi di scena e stravolgimenti. Il più grande trucco, il colpo ad effetto che probabilmente l’ha reso piacevole a molti, è costruito con una perfezione davvero rara. Lo spettatore resta completamente ignaro di tutto, per diverso tempo. O meglio, si percepisce che qualcosa non va, ma è impossibile capirne il motivo.

Quel qualcosa che non va è una palese, volutamente enfatizzata e pacchiana patina cinematografica che rende farsesche alcune scene della vita vera del protagonista. Un bacio che sembra una favola, un assassino con una faccia caricaturale. Sono levigature sottilissime che potrebbero essere scambiante per cattivo gusto da anni Ottanta. Invece sono filigrane stilistiche del tutto oblique, che si comprendono solo alla fine della visione. La realtà (sempre supposta, è chiaro) subisce dunque le stesse mutazioni funzionali del cinema, questo è il concetto. Una fossa di un paio di metri diventa un abisso, un sottopasso si allunga fino a diventare un tunnel terrificante.

La musica è onnipresente e aggiunge qualcosa al discorso. Come l’immagine, il visto e il non visto, può falsificare la realtà, anche la musica riplasma i fatti, li trascina un po’ dove vuole. Qui de Palma ne fa un uso intelligentissimo, usandola per colorale la narrazione secondo le inclinazioni psicologiche di Jack nei diversi momenti. C’è un tema musicale per gli attacchi di voyeurismo erotico del protagonista, che tornano puntualmente. E allora bastano poche note per capire dove si sta andando a parare. In altre sequenze le orchestrazioni vengono utilizzate come omaggio al cinema hitchcockiano da una parte, ma anche per portare avanti quel discorso che accosta vita e rimeditazione estetica. I fatti sono enigmatici, non è ben chiaro cosa stia succedendo, ma le musiche sono chiare, scoperte. E allora, alla luce del finale del film, è chiaro che anche la colonna sonora può essere strumento di falsificazione.

Questo è confermato dal cambio evidente nella parte finale, quando Jack comprende sempre meglio cosa sia successo. Anche l’enfasi musicale da età d’oro di Hollywood scompare repentinamente, lasciando spazio a musiche più contemporanee e meno emotivamente connotate

9/10

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Di  jackskellington

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