Ho notato che su DeBaser si parla poco di Brian de Palma, regista italo americano che, assieme a Scorsese e Coppola (discorso a parte meriterebbe Cimino) costituisce la sacra trimurti del miglior cinema statunitense degli anni settanta.

Dei registi menzionati de Palma, è invero, il più dotato sul piano prettamente tecnico - grazie ad una assoluta padronanza della fotografia, del montaggio e dell'uso della macchina da presa - ed il più debole sul piano drammaturgico, nel senso che molti dei suoi film patiscono difficoltà di scrittura e racconto che spesse volte li rendono assimilabili ad "esercizi di stile" più che ad autentiche narrazioni, come invece accade nei film dei colleghi sopra menzionati.

La stessa carriera di de Palma appare ondivaga e caratterizzata dall'ambivalenza fra vocazione autoriale del regista ("Scarface", "Omicidio a luci rosse", "Vittime di guerra") ed una dipendenza del Nostro dalle major, che spesso lo hanno chiamato a dirigere, con indubbia - formale maestria, dei blockbuster di gran successo, scritti e sceneggiati da altri (da "Carrie" a "Mission Impossibile", passando per "Gli intoccabili"). Va anche detto che proprio grazie agli incassi dei film di cassetta de Palma può finanziare i propri autonomi progetti, sovente destinati ad essere trascurati dal pubblico delle sale.

"Vestito per uccidere" ('80) rappresenta, a mio parere, uno dei più interessanti film del regista originario di Newark, oltre che un riuscito trait d'union fra la vocazione autoriale del Nostro, uso a frequentare i terreni del noir per parlare anche d'altro, sulle tracce di Hitckock, Antonioni e del Kubrick degli esordi, e attitudine commerciale del suo cinema, risultando un'opera equilibrata e avanguardistica sotto il profilo formale, ed al contempo pienamente godibile dallo spettatore che non abbia intenzione di creare eccessive sovrastrutture attorno al cinema.

La trama appare, in sé, piuttosto esile, narrando la storia di una giovane prostituta d'alto bordo (Nancy Allen), testimone involontaria del delitto di una donna (Angie "Legs" Dickinson), che indaga assieme al figlio della vittima (Keith Gordon) alla ricerca dell'assassino, visto involontariamente attraverso lo specchio di un ascensore. L'omicida, presto identificato nel transessuale Bobby, frequentava assieme alla vittima lo studio dello psicanalista Elliot (Michael Caine), che aiuta i giovani nelle indagini. A propria volta, l'assassino comincia a braccare i propri inseguitori, fino all'inquietante doppio finale, di cui non rivelo, ovviamente, i particolari. Lo sviluppo della storia appare equilibrato, presentandoci nel suo complesso una accattivante storia gialla, che apparirà forse scontata ai cultori del genere ma che riserva qualche sorpresa e sobbalzo, oltre a risultare estremamente coinvolgente sia nello svolgimento delle indagini da parte degli improvvisati detectives che nelle lunghe scene in cui la giovane prostituta è inseguita dall'assassino nello wasteland newyorkese.

I personaggi principali sono ben tratteggiati, dalla seducente Nancy Allen (all'epoca moglie del regista, un po' la Daria Nicolodi d'oltreoceano, si parva licet), che rappresenta l'investigatrice tutto intuito, entusiasmo ed azione, al complessato Keith Gordon (alter ego del regista da giovane), l'investigatore statico ma geniale - grazie anche all'uso della tecnologia e della scienza -, passando per l'eccellente Michael Caine, che delinea con grande finezza lo psichiatra attratto dalla femminilità della giovane e dell'intelligenza del ragazzo, oltre che dalla complessa personalità dei suoi pazienti, casualmente vittima ed omicida al centro delle indagini.

Senza svelare troppo della trama e dei suoi sviluppi e quello del desiderio sessuale e delle reazioni che esso scatena negli individui: così, la prima vittima è una ninfomane che finisce per amoreggiare con uno sconosciuto (che si scoprirà affetto da sifilide . in un'epoca pre aids), la prostituta vive e guadagna sul desiderio sessuale altrui, tanto da essere consapevole del fatto che ogni uomo la vede esclusivamente come oggetto sessuale; il figlio della vittima - già legato morbosamente alla madre da un legame che parrebbe edipico - vede nella prostituta un diverso oggetto del desiderio che lo spinge a emanciparsi dalla stessa figura materna, per cui, se l'originario intento investigativo era volto a vendicare la madre svelando l'identità dell'omicida Bobby, nel corso del film il vero scopo della sua azione è quello di salvare - e redimere - la giovane prostituta. Anche il dott. Elliot, pur freddo e distaccato, nutre desideri sessuali verso la giovane protagonista, senza nascondere di essere stato attratto dalla madre del ragazzo poi uccisa da Bobby. A propria volta, in un acuto gioco di specchi (si noti come gli specchi siano centrali nella stessa rappresentazione filmica, nel primo omicidio e nell'ultima scena), lo stesso Bobby - uomo - catturato dal desiderio per la prima vittima, si veste da donna per uccidere, non solo la persona, ma anche la propria pulsione.

Il film risulta un must soprattutto sotto il profilo tecnico e rappresentativo, esplorando diverse tecniche di fotografia, ripresa e narrazione. Senza appesantire la recensione, invito il lettore a prestare attenzione ad almeno tre memorabili scene. La prima è il lungo piano sequenza in cui viene descritta la visita della prima vittima alla mostra d'arte, in cui la telecamera - accompagnata da una calzante colonna sonora - accompagna il reciproco inseguimento amoroso della matura signora (poi vittima di Bobby) e del suo amante, fra labirintici corridoi e stanze: il melodramma sentimentale si intarsia alla perfezione con l'atmosfera misteriosa del film, tanto più che, stando bene attenti alle persone presenti sulla scalinata esterna del museo, alla seconda o terza visione del film noteremo la presenza dell'assassino transessuale, che evidentemente pedinava la sua vittima designata fin dall'inizio.

Una seconda interessante scena è ambientata nella metropolitana di New York, mentre la giovane prostituta viene inseguita da Bobby. Il fascino della sequenza si trova nel fatto che la malcapitata protagonista è sottoposta a varie fonti di pericolo, senza apparente via d'uscita: da un lato l'assassino che intende eliminare una scomoda testimone, dall'altro una banda di energumeni che vuole evidentemente approfittare delle sue grazie. La terza splendida scena è quella finale, in cui, senza troppo anticipare, uno dei protagonisti è vittima dell'aggressione di Bobby all'interno della propria casa. La sequenza mette ansia e tensione, che culmina quando ci si accorge come anche un paio di scarpe possa riservare delle amare sorprese, se messo al posto giusto.

In sintesi un ottimo film, anche se non un capolavoro assoluto.

Carico i commenti...  con calma