Nessuno ha voluto venire con noi al concerto di Bright Eyes, che sembra essere sconosciuto nella desolante provincia pavese. Ma noi abbiamo tenuto duro sulle nostre posizioni e così giovedì pomeriggio alle tre passo a prendere il mio fio compagno d'armi Sheva.
In battibaleno siamo sulla lingua d'asfalto infuocata e parecchio trafficata che è l'A21. In un paio d'ore vediamo passare dai nostri finestrini moncalieri, il lingotto, il museo dell'automobile che abbiamo visto in gita di terza elementare e la mole antonelliana. Innanzitutto ci dirigiamo in via Germansca al numero 12 per saccheggiare un negozietto di cd e lp interessanti.
Parcheggiamo al limitare di via Ciglia con l'intento di girare un po' a piedi per la città e raggiungere il locale dove suoneranno per le nove. Purtroppo scopriamo solo dopo tre chilometri che via Ciglia è la più lunga di Torino e noi abbiamo parcheggiato dalla parte opposta a dove si trova il locale.
Depressi ce ne torniamo alla macchina alle sette e mezzo e dopo una pizza, un gelato e una birra (in questo ordine) raggiungiamo l'area concerti in tempo per vedere i Faint, la prima band di Conor.

Questi omahesi (gli abitanti di Omaha) ci hanno impressionato parecchio con il loro live trascinante e danzerino, suonano il classico revival new wave con elettronica tendente alla techno e atteggiamenti molto glam.
Finito il loro show gironzoliamo per l'area concerti e gurdacaso incontriamo il proprietario del negozietto del pomeriggio che imperialista continua il suo lavoro sotto un gazebo, ci beviamo una birretta mal spillata e ridiamo alla vista del tecnico del palco con la crenna del culo di fuori.
Inizia lo show di Conor che si presenta sul palco, dopo le immancabili intro che caratterizzano tutti i suoi cd, palliduccio e un po' allucinato.
L'attuale tour di Bright Eyes serve per promuovere il suo disco un po' elettronico-ambient Digital Ash in a Digital Urn che io non ho mai acquistato e sentito, dato che proprio non ce lo vedevo alle prese con l'ettronica. La solidità e compattezza del suono mi hanno fatto ricredere dopo pochi minuti, Conor riesce a impressionare come sa fare nonostante debba distribuirsi tra la voce, la chitarra ogni tanto (con buoni risultati). I dubbi spariscono e le emozioni iniziano a straripare straripare straripare senza poter essere facilmente arginate, veder Conor che si dimena e canta a squarciagola come un invasato mi riempie di gioia perchè vedo che qualcuno riesce ad a ruffianarsi con stile.
L'elettronica non staticizza l'espressione dello spleen brighteyesiano che grazie alla proiezione di video naif sui due maxischermi alle spalle colpisce molto l'immaginazione dei presenti.

Dopo essermi ripigliato mi guardo intorno e vedo una maglietta azzurrino gay con scritto in rosso Debaser; preso benissimo aspetto un minuto di pausa (che Conor a onor del vero si prende solo alla fine) per andare a far conoscenza del debaseriota che si rivela Magomarcelo in compagnia di Josi che era in incognito. Chiaccheriamo un attimo prima che Conor rientri con l'unica canzone che conosco della serata "Lover I Don't Have to Love" .
Conor ci saluta e ringrazia di essere qui. Ci siamo divertiti tutti.

Non ho acquistato il disco solo perchè non volevo spezzare il cinquanta euri.
Riempiamo gli ultimi minuti di questo gradito e inatteso de-meeting discutendo di Milano, del fatto che non ci sia nulla di intressante in confronto alla molto più piccola a Torino. Arriviamo alla macchina (stavolta parcheggiata a un metro dall'entrata) salutiamo educatamente e ci apprestiamo al ritorno a casa.
Fortunatamente 5 km prima del mio casello due simpatici e frizzanti camionisti decidono di farsi una vicendevole carezza con il camion proprio un minuto prima che io passi di lì. Risultato sono le 3 ore e mezzo di coda che hanno fatto si che tornassi a casa alle sette del mattino.

3 ore e mezzo senza nulla da fare. Avrei fatto bene a spezzarlo quel cinquanta euro.

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