Anch'io, come molti di voi, provengo dalle fila della sinistra. Non ho mai militato in nessun partito politico (ho solo avuto la tessera di un'organizzazione studentesca), ma per un certo periodo ho tifato per quell'informe fazione. C'era di tutto nella cosiddetta sinistra: marxisti-leninisti, trotzkisty, eurocomunisti, catto-comunisti, socialriformisti, ecologisti, anarchici, liberal, liberali, libertari e chi più ne ha più ne metta! La "sinistra", come sostenuto da Massimo Fini e Costanzo Preve, è ormai un contenitore privo di alcun significato e di alcuna utilità.

Nella "sinistra" puoi trovare un De Benedetti come un Ferrando (leader del PCL), una Bonino e un Diliberto, una Binetti o un Nichi Vendola! Tutto e il contrario di tutto insomma! Esiste, almeno, un Minimo Comun Denominatore o una parvenza di esso? Sì! Ne esistono, per la precisione, ben due! L'antifascismo e il "progressismo".

Sull'antifascismo ci sarebbe molto da scrivere, sia per quanto riguarda i vari "antifascismi" sia per quanto concerne l'attualità di CERTO antifascismo, ma è sul concetto di "progressismo" che vorrei soffermarmi.

Lo faccio, per l'appunto, dopo aver letto questo interessante libro dello scrittore Bruno Arpaia. Un uomo di "sinistra" che, forse a torto, continua a definirsi tale. Un passato nelle fila della sinistra e un presente nelle fila della stessa. Eppure Arpaia, pur non eguagliando la sfrontatezza del già citato Massimo Fini , cerca di superare uno degli MCD caratteristici della fazione in esame: il progressismo.

"Per una sinistra reazionaria", infatti, è un libro che cerca di demolire la corsa forsennata verso "il futuro" caratteristica, ormai, di tutte le fazioni parlamentari ma, da sempre, tanto cara a quel già citato contenitore che, per comodità, continueremo a chiamare "sinistra".

La fede in quella linea temporale proiettata in avanti , l'economicismo, l'esaltazione dell'urbanizzazione ("Il comunismo è il potere dei Soviet più l'elettrificazione di tutto il paese" affermava Lenin) , la prostrazione dinnanzi alla Dea Scienza e un'ansia semi-futuristica (ma non in senso marinettiano) verso "soli dell'avenire" o , nella versione liberal-capitalista, verso la produzione e il consumo.

Il tempo, da Arpaia, viene rivalutato in maniera poco ortodossa rispetto a quelli che sono i canoni progressisti. Vengono rivalutati , infatti, la lentezza ed il ritmo umanamente sostenibile. Il progresso non è quindi visto come nemico ma, d'altro canto, non viene concepito come un dogma universale e indiscutibile.

Un altro tema caro ad Arpaia è quello concernente il rapporto tra "individuo e comunità". Un tema, per chi si interessa di filosofia politica, già affrontato a "destra" da Marcello Veneziani e a "sinistra" (ma non ditelo al diretto interessato!) da Costanzo Preve. L'autore non si richiama al paradigma di "comunità organica" né tantomeno alla "Gemeinwesen" marxiana, tanto cara al filosofo comunitarista torinese. La comunità qui è intesa, molto semplicemente, come una solida rete di interazioni umane. Uno spazio dove al posto dell'interesse individuale, di chiara matrice liberale e anglosassone, si predilige il "collettivo". Per Arpaia, provocatoriamente, bisognerebbe abolire il pronome "io". Abbandonare un egoismo degenere e alienante , figlio dell'epoca attuale, per ricostruire tessuti comunitari ormai dissolti o morenti. Pur considerando importantissima la dimensione individuale, mi trovo abbastanza d'accordo con l'attacco sferrato dall'autore nei confronti di una società fondata sul sospetto, sulla paura e sull'isolamento. Prodotti del capitalismo, verissimo, ma anche di un certo libertarismo forsennato (che, a mio parere, perfino uno Stirner deriderebbe).

Manca un affondo contro il buonismo-perdonismo sinistroide, manca un attacco contro certi vecchi vizi della fazione "sinistra" (veterofemminismo e settarismo) ma, nel complesso, trovo "Per una sinistra reazionaria" un sussidiario più che utile. Semplice, lineare eppure colmo di validissimi spunti di riflessione.

Attenzione: questo non è un tentativo di creare improbabili alleanze "rosso-nere" o "rosso-brune". Non è nemmeno il tentativo di coniugare Evola con Marx o la marzialità dei cosacchi con quella delle squadre d'azione! Nessun sincretismo politico-ideologico di terz'ordine! Solo, e scusate se è poco, una critica cosciente e lucida nei confronti di quella fazione che oggi, più che mai, stenta a reggersi in piedi. La "sinistra" appunto.

C'è dell'altro? Sì. Ma lascio a voi l'onore di scoprirlo!

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