La giustizia non funziona in Italia.

Partendo da quella che ormai è divenuta quasi una verità assoluta, l'ex procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti, insieme ad altri magistrati che hanno preferito rimanere anonimi, fa chiarezza su uno degli argomenti più blasonati del dibattito politico e mediatico che invade i nostri talk-show televisivi.

Prima di procedere con la recensione è opportuno però tranquillizzare i fans del Cavaliere e precisare che non ci si trova affatto davanti ad un'opera faziosa, di carattere politico, e nè tanto meno di fronte allo sfogo patetico e lamentoso di un vecchio magistrato, ma si tratta piuttosto di uno squarcio di realtà ignoto ai più. Non pensate nemmeno di trovarvi dinanzi ad un pallosissimo trattato giuridico incomprensibile perchè non potreste essere più lontani dalla verità.

D'altronde per rendersi conto di tutto ciò basta soffermarsi sull'ironia del titolo, il quale, a mio giudizio, si presta a diverse interpretazioni, del tipo: "Toghe rotte, altro che Toghe rosse!!!", "Toghe con le scatole rotte", "Toghe rese (da qualcuno) non funzionanti, cioè non operative"; evocando allo stesso tempo una sensazione d'irreversibilità di tale situazione.

Il sottotitolo invece informa il lettore della prospettiva da cui il tema viene affrontato: "La giustizia raccontata da chi la fa", anche se proseguendo fra le pagine del libro, sembrerebbe forse più appropriato "La giustizia raccontata da chi cerca di farla". Il testo è suddiviso in due parti, per un totale di pagine inferiore a 200. La prima parte "La Giustizia quotidiana" è di carattere aneddotico, ovvero, vengono riportati alcuni episodi, brevi racconti, che hanno la funzione di contestualizzare il senso di "Toghe Rotte", mostrare concretamente le difficoltà di chi opera nel campo della giustizia, sia di tipo burocratico, sia per quanto riguarda il rapporto fra il magistrato e l'ambiente che lo circonda e in cui si trova a dover svolgere le proprie funzioni. Il quadro che emerge è chiaro: il buon magistrato, quello sereno e rispettato, è il cattivo magistrato codardo e corrotto.

La seconda parte "Che cosa c'è che non va" è, a mio avviso, la più interessante. Il capitolo "Corso accelerato di diritto e procedura penale" è una manna dal cielo per chi vuole capirci qualcosa dell'aspetto tecnico della giustizia con lo sforzo pari a quello che comporta la lettura di una fiaba, in quanto il tutto è supportato da gustosissimi esempi che rendono impossibile la non-comprensione, in un linguaggio che dire semplice è un eufemismo. La spiegazione del nostro codice penale è allo stesso tempo accompagnata dalla denuncia della sua fallacità.

Il capitolo "I Ricchi che rubano" mostra come oggi sia difficile, a cause delle leggi introdotte da certi governi, arrivare a intercettare e punire i reati finanziari, cioè quelli tipici dei colletti bianchi, nei quali Tinti è specializzato. "Si fa ma non si dice" affronta il tema scottante delle intercettazioni, e in particolare si concentra sui complicati e controversi rapporti fra privacy- diritto di cronaca- diritto dei cittadini ad essere informati- legalità.

L'ultimo capitolo, per chi non si fosse ancora convinto della neutralità ideologica di questo libro, è sarcasticamente intitolato "Il capitolo più difficile", poichè Tinti non si limita a criticare la politica che vuole piegare la magistratura al suo potere, ma fa anche una sobria autocritica della sua stessa categoria, dipingendo la realtà di una istituzione articolata in correnti, che egli compara ai partiti politici, e non immune alle logiche clientelari.

Ricapitolando, il libro è consigliatissimo per la semplicità del linguaggio, l'attualità dei temi trattati, l'ironia che caratterizza ogni riga e fa in modo che non ci siano cali d'interesse o di attenzione da parte del lettore che si trova costantemente invogliato a proseguire.

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