Il signor Bryan Adams è uno di quei personaggi che su siti come questo (è un modo di dire: come DeBaser non c'è nessuno) vengono massacrati puntualmente e senza pietà alcuna; se lo recensisci, il rischio che corri è quello di fare la fine di Bryan Adams, ovviamente... Tutto ciò a causa delle sue pose fuori dal tempo da rocker convinto, perennemente in blue jeans e giubbottazzo di pelle, nonché del suo atteggiamento - le copertine dei suoi dischi fino a "Waking Up The Neighbours" sono eloquenti - che sembra un po' in stile versione depurata e per ragazzine di Bruce Springsteen. Moltissimo hanno contribuito certe ballads urlate, concepite per far breccia nei cuoricini dei più semplici, nonché per esser colonna sonora di films per il popolino. Sono in effetti troppi i milioni, di copie e di dollari, pervenuti ad Adams grazie a brani come la vecchia "Heaven" o le oramai inascoltabili "(Everything I Do) I Do It For You" e "Please Forgive Me", cosiccome eccessivo è il numero di raccolte, compilations, bests of e greatest hits che lo riguardano; l'artista, dopo gli '80, s'è speso poco e s'è venduto troppo, non c'è dubbio.

Oltre ad essere miliardario e famosissimo, questo suo continuo posare da "romantico ma con la chitarra" l'ha portato a spupazzarsi il pianeta terra nonostante egli non sia proprio il massimo della bellezza, nondimeno ad esser stato l'amante occasionale di Lady Diana Spencer, ad intendersela attualmente con una famosissima top model... Ma se la vita sessuale e la situazione economico-finanziaria sono al massimo, lo stesso non si può certo dire per la sua credibilità artistica, ma per la teoria dei vasi comunicanti da qualche parte doveva pur essersi prosciugata, l'acqua!

Il disco in questione viene fuori alla fine degli anni novanta, dopo quella schifosa paccottiglia in salsa fashion-rock contenuta all'interno del disco "18 ?Til I Die". Questo invece è un disco serio, fatto bene, arrangiato alla grande, con maturità e gusto. Un disco poco riconducibile all'Adams ruffiano, maleodorante d'acqua di rose, che nei booklets piazza, sotto alle liriche, il titolo del film in cui il brano si può ascoltare, ovviamente mentre passa la scena d'amore.

Certo, l'incubo della powerballad è sempre dietro l'angolo (ogni angolo), e sin dal primo brano viene ad impaurirci: l'opener "How Do Ya Feel Tonight", grazie al cielo, si salva in extremis; senza tradire se stesso, e qui le ballads sono in maggioranza, pare addomesticare una buona volta il solitamente irrefrenabile impulso alla caduta di stile marchettara. La traccia successiva, per esempio, l'altra ballatona "C'Mon C'Mon C'Mon", ha persino delle chitarre soniche, ben diverse da quelle cui ci ha abituati. C'è inoltre un incedere differente, più cupo e pastoso, ed in molti brani sotto alla classica ritmica marcia un'acustica.

L'impressione è che certo brit-pop d'allora possa aver contaminato il suono della sua musica. La titletrack, per esempio, ha dei passaggi ricchi di archi ed un'acustica dal suono molto "Wonderwall". Anche nell'opener, a ben pensarci, c'erano passaggi di chitarra molto Oasis tra le strofe. "I'm A Liar" sembra una marcetta british nelle mani overcallose d'un taglialegna di Twin Peaks, ed il risultato piace proprio perché Adams sembra non saper cosa farsene d'un brano così, e prova a reinserirlo nei suoi standards.

Ci sono due rockettini leggeri un po' fuorimoda ma senza dubbio riusciti, una serie di ballads dimesse, delicatissime, in cui Bryan non grida, in cui la sua voce, ancora intatta nonostante gli anni, perde quella convinzione screamadelica in favore di una consapevole (e migliore?) modulabilità, flessuosità, persuasività; e pattume come "Please Forgive Me" è distante nel tempo e nella mente.

Ma questo è il disco di due brani su tutti, la deliziosa "When You're Gone", tutta cantata assieme alla sbarazzina Sporty Spice, a mio parere l'unico duetto felice della carriera d'Adams - con buona pace per Pavarotti rest in peace, Tina Turner, Rod Stewart e Sting - e la dolcissimissima "Cloud Number Nine", che prima che il dj Chicane ne facesse una hit planetaria (di discreto successo anche in paradiso), era la serenata di questo disco qui, tutta fatta d'acustiche e semplicità.

Alla faccia degli inaridimenti creativi, Bryan Adams diede prova di non essere solamente uno stallone da monta, un romantico da casalinga disperata, un degno erede di certo love-rock alla Cliff Richards, ma un artista ed un autore ritrovato. Fino a "The Best Of Me", l'ennesima raccolta, uscita qualche tempo dopo, compilation che assieme a vecchi cavalli di battaglia (grazie a dio "Please Forgive Me" non c'era) doveva riunire i brani recenti, e cioè i singoli degli ultimi due dischi più gli inediti del sopraggiunto disco unplugged (!), ovvero tutto ciò che un artista non avrebbe dovuto fare per mantenere la propria credibilità.

Mi domando a che possa servire fare un passo avanti quando se ne devono fare tre indietro.

 

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