Liszt e Mozart, Schumann, Paganini, concezioni diverse della musica e del suonare, immaginari diversi per le settimane lisztiane tra Albano e Tivoli da poco concluse.
Passato l'evento e le emozioni, è il momento della riflessione su un Liszt che si è fatto pretesto per fare e ascoltare buona musica, un omaggio ad un compositore e alla musica stessa, al multiforme e poliedrico modo di concepirla, esprimerla, interpretarla. Un viaggio sospeso nell'atmosfera rarefatta dei due centri medievali in cui di volta in volta, la musica è stata 'fatta' ossia forgiata e ricreata sotto le dita degli interpreti, mediata dal contatto con un pubblico sempre numeroso, e capace di apprezzare le diversità delle performance.
Dal caleidoscopio delle esperienze dei singoli artisti, sono emersi sfaccettati i diversi modi di rileggere un autore, discutibili e volte, e discussi nei minuti del post concerto.
Interessante la sonata k 330 di Mozart di Cappello, lineare e semplice anche nelle sonorità, a sottolineare quasi uno stupore fanciullesco, lo stesso da tutti provato durante l'esecuzione dei Capricci di Paganini della dodicenne violinista Mascia Diatcenko, capace di trasfondervi il candore dell'infanzia e i chiaro scuri di una iniziale adolescenza che ancora non può lasciar spazio ad una adesione alla musica totalmente personale. Un viaggio in un universo sonoro cangiante, dal suono pastoso e caldo di Costagliola, a quello cristallino di Buccarella che ha trasmesso con La campanella la sua idea di 'virtuosismo', come qualcosa fatto per giocare prima che per stupire; e l'idea tiene, come quella di chi come Cappello di Liszt ha voluto sottolineare gli aspetti più marcatamente bravuristici, a volte troppo, o di Costagliola, quelli più nascostamente intimi. E poi il ritrovarsi del duo Ballista-Canino per un fare musica quasi di altri tempi, pronti a rinnovare un sodalizio artistico fatto di complementare diversità.
Discutibili, con una personalissima e altrettanto discutibile opinione, invece, lo Schumann del Carnaval di Cappello, fatto di impeto che lascia poco spazio al gioco e al lirismo, ma anche quello degli studi sinfonici di Costagliola, forse un po' troppo asciutti ed essenziali, rispetto alla complessità di un Robert Schumann. Ma ormai, le luci dei luoghi che hanno ospitato i concerti si sono spente, e mi rendo conto che anche le emozioni che sembravano tanto forti, sono ormai alle spalle, pronti ormai ad ascoltare altro.
Vera Mazzotta
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