Album d’esordio per Calvin Russell: 42 anni nel 1990, dietro di sé una vita di espedienti e disavventure e una biografia più ricca di prigioni che di canzoni. Per Russell, A CRACK IN TIME è davvero la “crepa” che il caso gli ha concesso per attraversare il muro di un destino altrimenti già segnato negativamente. La sua buona sorte ha il nome e cognome di Patrick Mathé, produttore di questo disco per l’etichetta indipendente francese New Rose.

Ed è proprio nel loro negozio di Parigi che ho scoperto piccolo gioiello. Un pugno di canzoni senza fronzoli che profumano di roots rock, quasi tutte a sua firma tranne due cover di altrettanti texani come lui: «I Should Have Been Home» da Blaze Foley e la bellissima «Nothin’» da Townes van Zandt. Musicisti di contorno efficaci, ma tutto sommato anonimi e immagino legati al giro dei turnisti degli Arlyn Studios di Austin; segnalo almeno il sax di Tomas Ramirez e la chitarra solista di Gary Craft.

L’immagine dell’album è minimalista e assai stilosa, con una bella serie di immagini del nostro Calvin virate in seppia. Lo stile della grafica prevale però sulla chiarezza delle informazioni e anche i testi – davvero in caratteri piccolissimi – non sono di facile lettura.

Le mie canzoni preferite: «Behind The 8 Ball» che sembra quasi il manifesto di vita sul filo dell’azzardo (la palla numero 8 del biliardo) e poi la tirata elettrica di «Living At The End Of A Gun»; la già citata «Nothin’» e la title track. Non sono male – ma forse un po’ troppo dylaniane - «Big Brother» e «My Way» e anche, in chiusura, il romantico duetto country di «Moments», tanto per alleggerire la pillola di una vita sennò un po’ troppo agra.

Rispetto al long playing l’edizione in CD ha aggiunto qualche pezzo, ma la sostanza non cambia: album pregevole per un autore assolutamente poco conosciuto in Italia. Lo consiglio a chiunque voglia allargare i propri orizzonti oltre i soliti nomi.

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