Quante volte, nelle mie riflessioni mirate all'analisi di un disco, e nell'individuarne oltre ai pregi anche i difetti, non ho potuto che fantasticare su come sarebbe venuto fuori con una produzione migliore, o l'aggiunta di quello strumento al posto di un altro, o addirittura scambiando i brani di due album in successione per creare un capolavoro e un semplice lavoro senza capo.

Con gli anni e quel pò di esperienza musicale vissuta, nel tirare le somme ho consapevolmente realizzato quanta creativitò sia stata spazzata via, ieri come oggi, dalle logiche di mercato e da compromessi giudicati tali dai discografici, ma visti spesso come ricatti non negoziabili da tanti musicisti insoddisfatti del prodotto finito, un sogno infranto per molti di loro.

La lista dei nomi che nell'ultimo mezzo secolo di musica hanno imbastito una carriera nel "non allineamento" è sorprendentemente corta, e lo è ancor di più quando i dischi all'attivo sono parecchi, ma quando il privilegio viene modellato al punto da occultarne il lato reale a vantaggio degli aspetti più grotteschi e dissacranti, la conta appena cominciata è già finita.

Nell'Inghilterra Punk del '77 tutto si consumò visibilmente come una sigaretta accesa e non fumata, una vista che molti ragazzini incapaci di saltare su quel vagone recepirono meglio di tanti discorsi, un monito a guardare avanti tenendo per buoni solo certi insegnamenti, conservandone in molti casi l'attitudine. I Cardiac Arrest nascono da quelle ceneri, nella volontà di fare e in una palpabile miseria crescono tecnicamente senza accorgersene, sgattaiolando di nascosto in un piccolo studio spesso incustodito per registrare demo, raccattando qualsiasi nastro usato per crearne copie. Quando la loro clandestinità viene scoperta, al posto del proprietario incazzato appare uno strano personaggio, presentatosi come The Consultant, affiancato in seguito da una donna-assistente, Miss Swift: entrambi giocheranno un ruolo chiave nell'economia della band per almeno una decina d'anni, organizzando concerti, definendo il look ed enfatizzandone l'aspetto bambinesco e irriverente, ma soprattutto costruendo attorno a loro un regime corporativo da compiacimento totale, The Alphabet Business Concern, sceneggiatura in perfetto British Style tra arte e ideologia, fuga dalla realtà ideale per guadagnare adepti e celebrarne il mito.

Con l'ultimo demo, The Seaside, pubblicato su vinile solo a fine '80, il diminuitivo Cardiacs è già musicalmente un mondo a parte, grazie a innesti formidabili nella line-up guidata dal chitarrista e cantante Tim Smith e dal fratello Jim al basso: dopo i primi EP's, nel 1986 il momento è finalmente giunto in uno studio come si deve per il primo album ufficiale. La ricerca di un Mellotron, per quei tempi una vera caccia al tesoro, va a buon fine con l'utilizzo dell' M400 di Martin Orford, tastierista degli IQ: in 24 ore William D.Drake riesce magistralmente a registrare non solo tutte le parti, prevalentemente 8-Choir, ma anche a salvarne i samples per i lavori successivi. Il vero mostro in azione si ascolta quindi solo in questi solchi, creando l'illusione dell'impianto New Prog nelle prime solenni battute di In A City Lining, ricco anticipo di un cambio da pelle d'oca, dove un valzer al metronomo sempre più veloce, perfettamente in linea col cantato impertinente, Punk fino al midollo di Tim, si trasforma in un contagiosissimo e corale ritornello Ska da hooligans ubriachi persi. L'anthemica Is This The Life?, al contrario, si regge magnificamente su un unico riff chitarristico e un unico refrain vocale, in un solidissimo wall of sound reso più interessante dal corposo inserto saxophonico dell'estrosa Sarah Smith, moglie di Tim, e da un guitar solo da morirci sopra: sarà il loro unico Hit-Single. La tecnica regna ovunque, ma anche il sacro dono di elargire hooks e catchyness al tocco di una bacchetta magica: Dive ne è un sintomatico esempio nel suo fare Cabaret-Punk, la batteria di Dominic Luckman come un treno che tira dritto a tutte le stazioni accompagna i festanti passeggeri tra gli scampanellii e xylofoni del controllore-percussionista Tim Quy in un viaggio tra le montagne russe, esilarante come uno sniffo di etere purissimo. 

L'album sembra essere un concept sull'appiattimento e la vana competizione della razza umana, vista attraverso le lunghe schiere di abitazioni inglesi ammassate l'una contro l'altra, e nell'utopistico sogno di un unico grande appartamento dove tutti possano vivere insieme portando il proprio contributo, smettendo di copiare vicendevolmente arredi, consuetudini e stili di vita rinchiudendosi ognuno nel proprio recinto. La Title Track è strategicamente posta a inizio e fine disco a sottolinearne il disagio: A Little Man And A House, nella sua fanfara suburbana, scandisce i rintocchi quotidiani dell'uomo medio, la cui frase "That's the way we all go", compare in altri episodi del disco, mentre nell'epilogo The Whole World Window Tim Smith esplode in tutta la sua rabbia e disperazione come se urlasse dalla finestra di casa, piangendo e imprecando contro il mondo che lo osserva indifferente, nella cornice armonica di una melodia meravigliosa, un finale di grande impatto emozionale, degno di certe opere Progressive del passato ma totalmente immerso in quel presente dove nessuno è riuscito a star loro dietro, rendendoli uno dei pochi grandi segreti del Rock inglese.

Da molti anni ormai Tim Smith vive da vegetale in uno squallido sanatorio, dopo un tremendo colpo che lo ha reso muto e paralizzato su una sedia a rotelle: nella sua vita di musicista non si è mai arricchito, i suoi compagni non hanno perso la speranza di vederlo ristabilito, e star del calibro di Damon Albarn e Neil Hannon si sono mossi con benefit per permetterne le cure costose.

I Cardiacs, insieme ai Gentle Giant, due bands con più di un punto in comune, sono il mio gruppo preferito.

Ciao Tim, anche io ci spero ancora. 

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