Questo disco è un potente logos degli anni novanta.
Perché racchiude in forma sonora un pensiero espresso attraverso un linguaggio (la musica elettronica tout court) che si conferma, qui più che altrove, il mezzo ideale per descrivere il contemporaneo.

Questo disco è una colonna sonora emotiva e profondamente fisica dei nostri tempi. Un’opera insieme epica, lirica e drammatica. Perché si concentra rispettivamente su un personaggio (l’uomo nell’età della tecnica), sui sentimenti alienati e sugli eventi capaci di sconvolgere i canoni estetici dell’immaginario.

Questo disco è l’apice della radiosa carriera di Carl Craig, il più eclettico e influente dei techno-eroi di Detroit. E giunge subito dopo l’illuminante “Landcrusing”, requiem notturno e spietato della motor city per eccellenza.

Craig raggiunge l’obiettivo navigando al largo del battito gradasso della techno dozzinale.
Disegnando un suono verticale fatto di arabeschi dalla geometrica dolcezza. Costruendo pattern ritmici dall’essenza tribale. Intrecciando linee sinfoniche d’indicibile malinconia.

Il tutto si traduce in una graduale ascesa nella nebbia strato-sferica di Televised Green Smoke. Nella cavalcata di lussuriosa nostalgia per un mondo perduto di Goodbye World dall’incipit che sembra richiamare il John Barry di “Attenti a quei due”.
Nelle diagonali sinth-etiche dall’ampio respiro morriconiano di Red light. Nei maestosi jazzismi di Butterfly e Dreamland. Nell’incedere mistico-industriale dalla struggente bellezza di At Les. E giù fino ai vocalismi downbeat di As time goes by, al fuorischema a-la-Wyatt di Attitude e al fascino metronomico di Frustration.

Qui più che altrove la palette sonica di Craig dipige panorami digitali che marcano la differenza dai canoni mittel-europei più cupi e quadrati ed anticipano le contaminazioni jazz, soul e funky dell'imponente progetto firmato “Innerzone orchestra”.

Qui più che altrove trattasi di artefatto tecno-logico che diventa un classico per i posteri.

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