“Di indomito incanto” è un album senza tempo. Un album come pochi, in grado di svelare tutta la fallacia e l’immaterialità della nostra epoca e di coccolare l’animo umano con una struggente melanconica carezza. L’autore, Carlo De Filippo, già coinvolto nel progetto “Oniric”, si lancia con un progetto da solista che lo vede artefice di una musica rivelatrice e catartica, di suoni e melodie originali, dall’influsso tierseniano e dallo slancio nostalgico, note comuni anche all’animo stesso del giovane autore che non teme di rivelare il suo “velo di Maya”. A condurre l’ascoltatore in una dimensione limbica e misteriosa è “Del Perduto Eco”, primo pezzo della playlist, che si pone quasi fosse il “Caronte” del mistico viaggio intrapreso dallo spirito in ascolto: percussioni bandistiche e struggenti cori, provenienti chissà da quale perduto tempo, voci destinate a rincorrersi all’infinito ovattate e coperte da un velo di inspiegabile rimpianto; il tutto conduce alla filosofica consapevolezza del perpetuo ripetersi delle stagioni e con esse degli animi che le abitano, irreversibilmente bloccate in un inesorabile “Eterno Ritorno”. Lo slancio nietzschiano si ritrova anche nei pezzi successivi: l’autore, abile narratore, ce lo ripropone in una versione addolcita e come placata nella delicata melodia di “Indomito Incanto”, terzo pezzo nonché fonte di ispirazione del titolo dell’album: lo spirito, dopo lo sgomento iniziale, si ritrova maturo e sereno alla luce di una nuova consapevolezza e quasi se ne disseta in una chiusura inaspettatamente ottimista. Il tutto procede toccando i seducenti e romantici passaggi di “Estatico imbrunir” , nel quale la melodia, timida e sensuale sembra porre nuovi interrogativi all’animo in ascolto e “stuzzicarlo”, proprio come un uomo tenta di sedurre e corrompere la pudicizia di una giovane ed inesperta donna. La passionalità trova il suo culmine in “D’Impetuosa Mescolanza” ove il desiderio si insinua prima incerto ed impacciato( reso dai glockenspiel iniziali), per poi esplodere in un crescendo vorticoso di animazione e passione con archi decisi e percussioni audaci; le note rimandano ad un’antica unione ritrovata, alla danza di due spiriti per chissà quanto tempo ignari della loro originaria appartenenza ora riconfermata. Un diverso erotismo, invece, trapela dalle note dal sapore un po’ più nostalgico di “interludio d’arcano moto”, la cui melodia si trasforma però progressivamente in un gioco di impudica complicità e di sensualità quasi infantile, quasi ingenua. E’ sorprendente come al susseguirsi dei brani e delle note, si aprano nuovi scenari, così familiari, che altro non sono che nuovi paesaggi e luoghi dello Spirito, quello umano, tormentato per definizione: così come sottolineato dal valzer melanconico che si ritrova in “Di Quei Meriggi”, o dai tremuli archi e dalla straziante melodia di “Talune Nostalgie”. Più fugaci ed immaturi gli intenti dei brani successivi: “Attimi,Imminenti” ed “Attimi,Fuggevoli” sono probabilmente di matrice più antica, provengono da una melanconia più impacciata e più istintiva dell’artista, scardinata, subito dopo, dall’audacia del clavicembalo di “Struggenza in Re minore” che sembra trasportare l’ascoltatore nelle settecentesche e sfarzose corti della Francia illuminista. Una nebbia delicata, un “Velo d’Oblio” avvolgono lo Spirito, quasi pago, ed una eterea voce lo consola in “Daffodils”,unico pezzo cantato, ispirata all’ omonima poesia di Wordsworth: infine una timida “Rugiada” vi si posa, e ne bagna gli occhi, commossi, come suole poggiarsi sui petali di fiori notturni quando ormai un nuovo giorno si avvicina e piano scaccia le tracce di tenebre appena superate.

Il viaggio dantesco che ci offre l’album ed il suo artista riescono a smuovere l’ascoltatore non solo musicalmente, ma in un’accezione spirituale e sensoriale più ampia, a guidarlo in una dimensione limbica, onirica, riuscendo a percorrere la coscienza e la sensibilità di tutti coloro che riescono a provar “gioia nella tristezza”, a trovar risposte “nell’infinito dubitare”, a trovar requie nell’estatico e vorticoso moto del Bello artistico. La melanconica attitudine delle sonorità e dell’animo artistico non sono però fini a se stesse: conducono, così come avviene nel viaggio dantesco, dal Tormento( i cori dannati di “Del Perduto Eco”) alla Beatitudine, dalle infernali fiamme “All’Indomito Incanto”, appunto, ossia alla consapevolezza di un’ancestrale e sempre rinnovata speranza.

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