Non sarà una recensione Zot: non sarà nemmeno una recensione.

Andando a memoria credo sia la prima volta che, qui su DeBaser, qualcuno scrive una “recensione” su di un museo. Al massimo KyraCollins ne aveva scritta una su di una mostra.

La prima cosa da affrontare, impostandola, è stata la scelta dell’autore da inserire nel titolo: moltissimi quelli legati alle varie opere esposte (ero tentato da un bel “AA.VV.” ma poi ho lasciato stare temendo che l’umorismo, insito nella cosa, non sarebbe stato condiviso da tutti), ignoti quelli che hanno costruito la struttura. Notissimo invece chi (Carlo Scarpa) ne ha curato il restauro e poi allestito l’esposizione museale, tanto importante da dovergli “concedere” l’attribuzione. La seconda riguarda “il come” affrontare la questione, dilemma che si risolve nella domanda “di cosa parlare soprattutto?”. Per esempio dell’edificio e della visione che sta dietro al suo restauro e allestimento a museo? Dei due principali filoni storico-artistici (Scultura Romanica e Pittura Gotica e Rinascimentale) che occupano gran parte delle sale? Risolvere con un rapido excursus sulle opere esposte?

Alla fine mi sono ricordato di quello che dice sempre Philippe Daverio e cioè che il miglior modo di guardare un’opera d’arte è guardarla a lungo (addirittura inviterebbe ad entrare in un museo e ammirare solo una singola opera per tutto il tempo della visita pur ammettendo che trattasi di comportamento da veri e propri iniziati) quindi, dopo un breve paragrafo introduttivo, mi limiterò a parlarvi, più sinteticamente possibile, delle cinque opere, esposte a Castelvecchio, che, per chi scrive, meritano una particolare attenzione: so che la cosa somiglia molto a un “track by track” ma dopo avervi risparmiato la burla sugli autori vari un po’ di Pop dovevo pur mettercelo.

Castelvecchio: Breve Storia di un maniero.

Fu Cangrande II della Scala, a metà del ‘300, a volerne la costruzione: lo scopo era puramente difensivo ma, a differenza di quel che si crede, rivolto più a ripararsi da eventuali sommosse cittadine che non dai nemici “esterni” (la posizione del ponte, collegato alla sponda dell’Adige che guarda a Nord Est e, quindi, offre una via di fuga e/o possibilità di rifornimento/intervento verso l’alleato imperiale, lo prova). Questa funzione fu gradualmente persa nel corso dei secoli trasformando il castello via, via, in residenza, poi in deposito di scorte alimentari, carcere, arsenale, caserma, per diventare, finalmente, museo nel 1924 e vedere l’importante restauro curato da Scarpa durato, tra un intervento e l’altro, quasi vent’anni, tra i ’50 e i ’70. Lo stesso architetto si occupò, come detto, anche del percorso espositivo trovando brillanti soluzioni anche nelle singole installazioni (come vedremo tra poco) Se volete saperne di più comunque cliccate qui e/o qui.

Cinque “cose” del Museo di Castelvecchio da vedere prima di morire: (citate in ordine di “apparizione”)

“Crocifisso e Dolenti” (conosciuto anche come “L’Urlo di Pietra”) Clicca qui per vedere il gruppo.

Gruppo scultoreo trecentesco in tufo, originalmente dipinto, attribuito al Maestro di Santa Anastasia: nome che si riferisce a una corrente del Romanico veronese e non a una singola, vera e propria, personalità. Il Cristo inchiodato a un albero (iconografia tipicamente germanica) e non alla classica croce fa capire come Verona sentisse l’influenza imperiale anche dal punto di vista artistico. L’espressione drammatica è esaltata nel viso che si contorce in un urlo profondo che arriva a rendere asimmetriche le orbite degli occhi. Il corpo che s'immola in un ultimo spasmo di dolore è reso plastico dalla creazione di muscoli e tendini che, anatomicamente, non esistono (altra caratteristica dell'arte dell'Europa Settentrionale). Gruppo proveniente da un’antica chiesa di Verona, nella “nuova” sistemazione, decisa da Scarpa, vede il crocifisso appeso a una lastra di metallo, una via di mezzo tra la classica croce latina e un tau, e in basso, su piedistalli, i due dolenti: modernità ma efficacia filologica insieme.

“Madonna della Quaglia” Cliccca qui per vedere il dipinto.

Tempera su tavola dipinta attorno al 1420 attribuita al Pisanello. Il realismo degli animali ritratti sembra confermare che la mano sia la stessa che ha dipinto capolavori come “San Giorgio e la Principessa” o la “Visione di Sant’Eustachio”. Siamo in pieno Gotico Internazionale (un “linguaggio" che qui tocca uno dei suoi apici poiché, nemmeno quaranta anni dopo proprio a Verona, con la Pala di San Zeno, sarà riformulato e sovvertito dal Mantegna) e l’autore, ancora giovane, raccoglie tutti gli influssi dei maestri dell’epoca e dipinge una delle più belle (sì, sto parlando in senso estetico) madonne di sempre. Raffinata, delicata ed eterea: da perdersi dentro "in saecula saeculorum". Non è un caso, secondo me, che l’allestimento la ponga a fianco della prossima opera in “lista”.

“Madonna del Roseto” Clicca qui per vedere il dipinto.

Tempera su tavola databile tra il 1420 e il 1440 d'incerta attribuzione (i più propendono per Michelino da Besozzo). Dipinto che conferma che il Gotico, a differenza di quel che si pensa, era il trionfo della luce. La Vergine, il bambino e Santa Caterina di Alessandria sono ritratti mentre raccolgono rose all’interno di un magnifico giardino: le metafore religiose e i simboli cristologici si sprecano, solo gli angeli raffigurati quasi come piccoli uccelli sembrano, stranamente, richiamare aspetti più terreni o forse sono solo monito a non indulgere troppo nell’interpretazione e limitarsi a dondolare nel colore.

“Statua Equestre di Cangrande I della Scala” Clicca qui pere vedere la scultura.

Proveniente dal complesso delle Arche scaligere (dove ora si erge una copia), probabilmente realizzata in pietra calcarea di Avesa, fu ordinata dal nipote Mastino II (quindi intorno al 1340) per onorare il grande avo (la presenza di simboli di potere come l’elmo a forma di cane alato introdotti dai della Scala solo dopo la morte di Cangrande ne è la prova), la statua mostra il signore di Verona sorridente (segno di accoglienza) e con tutti i paramenti onorari (anche il cavallo ne è adornato) al completo ma, d’altronde, il più illustre esponente di una dinastia che, seppur non sola, inaugurò il periodo delle signorie, grande mecenate (Dante gli dedicò “Il Paradiso”) e, mai domo, condottiero meritava il massimo dell’apparire dopo avere appieno esplorato l’essere. Magnifico (e insolito) esempio di arte romanica proveniente da un complesso profondamente gotico: Scarpa lo pone all’esterno (protetto dalle intemperie da un tetto) a dominare il giardino interno e in prossimità degli spettacolari camminamenti sulle mura che danno al Ponte Scaligero e all’Adige. Una posizione di potere, 700 anni dopo.

“Ritratto di bambino con disegno” Clicca qui per vedere il dipinto.

Olio su tavola probabilmente dipinto attorno al 1540 da Giovan Francesco Caroto. Esattamente non so perché, invece di altri capolavori qui presenti (tra cui “cose” del Mantegna, del Veronese, del dai Libri, etc.) ho messo nella “lista” questo quadretto (37X29 cm) che, tra le altre cose, si trova in una posizione sfortunata (vicino al passaggio tra una stanza e l’altra) a renderne pure difficile la prolungata contemplazione. Probabilmente perché in un’epoca insospettabile è uno dei primi esempi di apparizione del “brutto artistico” (lo sgorbio nel disegno mostrato fieramente dal bimbo) e nello stesso tempo segno che l’influsso leonardesco stava soffiando forte dappertutto. Forse è solo perché dopo un po’ che lo guardo mi vengono in mente battute cattive sul Punk (che vi risparmierò) e non so ancora il motivo ma, forse, è solo “un po’ di me che se ne va”.

L’ingresso costa sei euri (se avete tempo di stare a Verona un paio di giorni vi conviene fare la card da quindici che vi consentirà l’ingresso anche in altri musei, chiese etc.). Secondo me, ne vale la pena.

Mo.

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