Scordatevi i lussuosi ristoranti chic e i Grand Cafès della Grande Mela. Riponete nel vostro cassetto mentale la tavola imbandita, ceste di frutta ad ornare succulente vivande spazianti dall'antipasto all'ammazzacaffè. Congedate familiari, amici, consorti, figli, nipoti, dimenticatevi dei bagordi pasquali e natalizi.

Pochi commensali a questo insolito banchetto scevro di arredamento, argenteria, tazzine e ceramiche fini e preziose. Una manciata di operai, fior fiore della manovalanza americana post Grande Depressione, acquattati, neanche fossero piccioni su una grondaia, sopra una rigida trave metallica. Mangiano, si scambiano parole e cibo, rigenerano membra sfiancate e malconce prima del round finale contro la bestia d'acciaio che essi stessi plasmano mescolando bulloni e sudore.

Immersi nel bel mezzo dello sposalizio cielo - terra, testimoni dell'avanzata del cemento e del ferro verso l'empireo, fautori del progresso che dalla pietra si è spinto al cemento armato. Ecco la Torre di Babele dei nostri giorni, ecco i nuovi, arditi esploratori dell'atmosfera e del deserto nebuloso. Trave dopo trave, mattone dopo mattone: la terra si unisce al suo soffitto, il grigio smunto e cenerino dei grattacieli si innalza all'unisono conquistando cromaticamente ed in verticale il limpido celeste impassibile di fronte a ciò.

E' l'uomo che tenta di tracciare la nuova via del Paradiso attraverso la scorciatoia del metallo, del progresso, della tecnica. Babilonia lascia il posto a New York, alla City della contemporaneità. L'umano, il bipede della Grande Mela non vedrà mai confusa la sua lingua dall'ira divina: l'Uomo contemporaneo è l'idioma di se stesso. Inglese, Tedesco, Francese, Spagnolo, Cinese, Yddish.... blande espressioni di un progresso ineffabile, di una volontà ingegnosa che non conosce vocabolario alcuno.

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