L’immagine dei due bei figlioletti del cantautore e chitarrista americano (col maschio che assomiglia veramente tanto al padre), immortalati mentre guardano fuori da una vecchia finestra di campagna, introduce questo pregevole album del loro genitore Christopher Cross, settimo di carriera e forse il migliore della decina sinora pubblicata; superiore, per chi scrive, anche al celebre debutto del 1980 che tanti premi di critica e tante copie vendute era riuscito ad accumulare, al tempo.
Siamo negli anni novanta e quindi sono andati fuori moda, in ambito soft rock, i “tappetoni” di sintetizzatori ed i suoni un po’ troppo trattati e finti degli anni ottanta, che avevano accompagnato anche le iniziali fortune della carriera di Cross. La musica rimane tuttavia la medesima, ossia pop rock californiano di classe, reso qui al meglio registrando nella maniera più lineare e presente possibile le chitarre acustiche ed elettriche, i pianoforti, gli organi, le percussioni e lasciando tutto alle proprie risonanze naturali.
La vocina femminea di Cross, educata e leggiadra, svetta con grazia su queste sapienti basi semiacustiche ed il piacere più grosso interviene ascoltandola alle prese con la romantica ballata dell’amor lontano che intitola il lavoro: “Ogni notte apro la mia finestra e lascio entrare il tuo amore, pensando che sia io che te stiamo mirando la stessa luna, così che quando mi ritrovo sveglio a rigirare il cuscino nel letto, il vento fuori mi porta la tua voce…”. Certo la musica di Cross è quanto di più saccarinoso e romantico ci possa essere, ma non mi vergogno certo ad apprezzarla: le opere musicali che vale la pena di frequentare possono essere anche nere come la pece, tipo una “Berlin” di Lou Reed o una “Triage” di David Baerwald, o all’opposto bianche come un giglio e questo è il caso di Christopher, esimio compositore e interprete di amene canzoni d’amore. C’è posto per tutti, pessimisti ed ottimisti, nella musica.
Con la sua chitarra acustica come strumento principale e intorno ad essa il solito stuolo di abili e misurati musicisti, il disco offre particolare qualità nel ribadire alcune caratteristiche nobili del pop rock californiano… ad esempio l’abilità nel miscelare il pianoforte acustico insieme con quello elettrico, in un gioco d’alternanza al proscenio fra l’uno e l’altro nell’arrangiamento pieno di gusto e attenzione. D’altra parte viene usato pure un quartetto d’archi, a personalizzare ed impreziosire un paio di episodi a titolo “Thinkin’ ‘Bout You” e “Jan’s Tune”. Su “Wishing Well” è invece l’armonica a condurre le danze, appoggiandosi a un delizioso groove funky semiacustico, pilotato da un basso di astronomica qualità sia come esecuzione che ripresa del suono, mentre su “Uncharted Hearts” un pad elettronico di cornetta indugia alla maniera fusion, avvicinando Cross nell’occasione a certe cose degli Steely Dan, sensazione provocata in altri episodi anche dalla chitarra aristocratica di Michael Thompson, chiamato ad eseguire due o tre assoli qui e là.
La sorprendente cover di “Nature’s Way”, vecchio successo del 1970 degli Spirit del compianto Randy California, è un altro vertice assoluto dell’album, resa com’è con la giusta tensione e specie nel perfetto finale tronco, improvviso quanto ben giocato.
Giù il cappello, per quanto mi riguarda, a cicciobello Cross, al suo produttore e tastierista Rob Meurer, alla sua corista Gigi Worth che gli fa da controcanto in diversi episodi, e a tutto il resto del contesto. E’ musica non per tutti i giorni… dopo un paio di suoi album vien di sicuro voglia di ascoltare cose più sanguigne e pericolose, ma nel suo genere lui resta un grande.
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