Lo ammetto: credevo di annoiarmi, ma questa è stata una delle più belle delle -sempre più rare- serate padre-figlio che abbia mai vissuto. Il Bergamo Jazz Festival, infatti, mi ha aperto gli occhi su quel ramo della musica -il jazz appunto- che mi era ancora praticamente sconosciuto; oltre alle classiche frasi “nel jazz conta molto l’improvvisazione” e “i chitarristi jazz sono sempre dei virtuosi” che vengono ripetute in ogni conversazione musicale e oltre a qualche disco di Miles Davis di cui il Vecchio (mio padre) è solente mettere in auto per allietare le ore passate in coda in autostrada non avevo alcuna nozione su questo folle ma altrettanto magico genere musicale. La rassegna in questione accoglie musicisti di fama internazionale ed è uno dei rari eventi che richiama nella città orobica visitatori da tutta Italia -e forse anche da alcune nazioni limitrofi come Francia, Svizzera e Austria- se si escludono i vari eventi delle sempre, ahimé, più numerose “discoteche-porcilai” che attraggono sempre più numerosi adolescenti, la cui psicosi presumo sia stata irrimediabilmente deviata dalle mode di massa.

Chiusa la divagazione, mi appresto a parlare dell’esibizioni di questa prima serata del Bergamo Jazz Festival (ho dovuto, ahimè, rinunciare alle altre due). Dopo essere arrivati puntuali al sempre stupendo Teatro Donizetti, io e mio padre entriamo e notiamo subito l’impeccabile organizzazione ed accoglienza; infatti gruppi di addetti accoglievano gli spettatori, li conducevano al loro posto e consegnavano loro il depliant contenente le informazioni sugli artisti che erano in procinto di esibirsi, il Chuco Valdés Quintet e la Gianluca Petrella Cosmic Band.

I primi ad esibirsi sono il quintetto cubano capitanato dal pianista Chuco Valdés, figlio d’arte (Ramòn “Bebo” Valdes è una leggenda della musica cubana) e uno dei migliori pianisti del mondo. Lo show è stato coinvolgente ed entusiasmante: sorprendente il modo in cui i cinque riescono a fondere gli stilemi del jazz classico con i ritmi caraibici di Cuba. La loro esibizione è stata di primissimo ordine. Il contrabbassista Labaro Rivero, ponendo una solidissima base ritmica, ha permesso al batterista Juan Carlos Rojas e al percussionista Yaroldy Abreu di lanciarsi in assoli epilettici (e ai quali i miei occhi facevano fatica a seguire per la rapidità dell’esecuzione), alla cantante Mayra Valdés di usare al meglio la sua potentissima voce e al pianista Chuco Valdés, la star della serata, di proporre le sue tipiche, pirotecniche evoluzioni sulla tastiera che gli hanno valso il titolo di “leggenda del jazz”. Un pezzo di seguito all'altro per un'ora di latin jazz allegro, esplosivo e ritmicamente davvero contagioso.

Dopo l’intervallo, si presenta sul palco la Gianluca Petrella Cosmic Band, una dei principali esponenti dell’acid jazz italiano. Il suono è molto differente rispetto alla precedente esibizione, essendo più psichedelico anche per l’uso di sintetizzatori. Ciò, naturalmente, non significa che sia stato uno spettacolo noioso. Infatti la band, composta da ben dieci componenti e diretta ineccepibilmente dal trombonista Gianluca Petrella, erige un vero e proprio muro sonoro, originato soprattutto dagli assoli dei quattro fiati, che sfruttano la perfetta ritmica creata da piano, percussioni, contrabbasso ai quali non viene dato spazio per gli assoli. Una minima pecca, a mio avviso, è stato il suono della chitarra, eccessivamente sovrastato dai quattro fiati e, per questo motivo, praticamente inudibile.

Per concludere, grande serata al Donizetti che mi ha aperto gli occhi sulla folle magia del jazz, che prima (quasi) totalmente ignoravo (abbiate pietà ho 16 anni :-)).

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