"Lo zio di Brooklyn". Rivoluzionario. Oscuro. Metafisico. Farsesco.

Opera prima dei siciliani Ciprì e Maresco, autori di "Cinico Tv" provocatorio ed illogico travaso di volgarità visionarie con uomini-maschera per protagonisti (Paviglianiti il petomane per esempio), proiettato per anni su raitre.

Nel 1995, con un pretesto contenutistico irrilevante, il concetto televisivo si tramuta in lungometraggio. Difficile, curioso, estetico e coraggioso. I due autori, registi e sceneggiatori siciliani ci proiettano in una Palermo periferica, abbandonata, spenta, desertica, infarcita di malinconia e fastidiosi luoghi comuni, figurata da personaggi assurdi e privi di energia, invasa da funerali (la vita è come la morte?) e mute di cani randagi (l'uomo è il re dei randagi?).

In una collocazione temporale indeterminabile, si percepisce il senso di abbandono dalle macerie, la morte della cultura dai continui funerali, il collage di provocatori luoghi comuni legati alla Sicilia (mafiosi sempre attivi e ritmi lentissimi) e con essi improbabili ed animaleschi personaggi, in alcuni casi estratti dalle vecchie trasmissioni televisive del duo.

Provocatorio e feroce, 98 minuti di poesia decadente e irriverente. Paradossali ed incomprensibili salti logici che appaiono come scenette messe insieme per lasciare un messaggio che non arriva immediatamente, quasi i due autoti avessero tantissimo da dire e si ostinassero a perpetrare ferocemente il loro senso di accusa e provocazione al cinema italiano, al sistema ed alla comicità scontata. Pungenti, nei grotteschi personaggi, nelle ambientazioni esteme e prive di civiltà, nel disfattismo comico senza prospettiva, nell'abbandono del luogo e della persona. Un collasso emotivo, tagliente nella sua iconografia e nel suo realismo sovvertito, fatto di paradosso e di uomini gretti in mutande che ad un tratto parlano con il pubblico, suscitando reazioni nello spettatore perplesso ed inorridito.

Una struttura narrativa poverissima (che rispecchia la pochezza intellettuale dei personaggi), labile ed abbozzata che lancia un pretesto e non lo porta avanti perchè si vuole soffermare con energia su una questione estetica. Parrebbe una storia di mafia, in una scenografia bigazziana in bianco e nero, che ci vorrebbe immalinconire ed invece, con la sua monocromia risalta la decadenza, la tematica spenta e monocorde fatta di recitazione abbozzata pseudocabarettistica e dilettante. Dialoghi poco comprensibili, battute in siciliano stretto, rutti, peti e disperazione completano il quadro di desolazione ed abbandono. Lo sketch dell'asina è basso e poco chiaro, il vecchio ciclista che ricerca la sua bici rubata (metafora della ricerca di qualcosa che non si trova mai) senza risultato ed i suoni, così unti, sudici e polverosi sono parte di una atmosfera accusatoria e surreale che sottolinea il tratto animalesco dell'umanità, con cattiveria e disprezzo, sfacciata insistenza e tempi dilatati.

Assurdo. Forzato. Coraggioso. Fatto per stupire. Ma assolutamente geniale. Bistrattato da qualunque festival del cinema.

Carico i commenti... con calma