Radunate nella mente la varietà, il mordente (e il DIY) del post-hardcore, il caos emotivo dello screamo, la tracotanza e la sintesi del progressive, i timbri del post rock, le sfuriate chitarristiche del black e del grindcore, e delle influenze vocali affini al death. Ora provate ad immaginare un possibile incontro di questi continenti. E' impossibile: il punto d'incontro è un'immensa, incolmabile voragine. Ecco, quest'album è un balzo a zanne strette e ad artigli scoperti, dritto in mezzo a quell'abisso. E' palese che la band non raggiungerà mai l'altra parte. Non ce la può fare. Gli mancano le forze necessarie. Ma diamine, che gran salto.

Un album senza fiato, trafelato, lanciato in una folle corsa che non riesce a fermare. Troppi i cambi, le variazioni, le metamorfosi ritmiche condotte con precisione ferina da queste quattro normalissime persone. Troppo profondi ed esoterici i temi, che trattano le varie forme di annullamento dell'Io, strutturati addirittura in due capitoli interni al disco, e in tre ulteriori nuclei narrativi, tra cui il rito d'iniziazione, o meglio quello "stato alterato" nel quale il singolo, espulso dalla società, si viene a trovare, solo e inesperto, davanti ad una prova che lo porterà all'età adulta e all'accettazione, una prova sconosciuta, atavica, per la quale non è preparato. Tutto questo è sublimato dall'aforisma "One must suffer to pass" (che oltre ad essere una delle pochissime frasi ripetute due volte nel corso del lavoro, le cui liriche sono davvero infinite, assomiglia in modo rassicurante alla massima di Qualcuno...). Gli altri due temi, la ribellione alla divinità e conseguente annichilimento, e l'oblio di sè in vista di un ideale superiore, sono per di più compenetrati e trovano la loro conclusione nella finale North Star, Inverted, inevitabile esplosione melodica dopo l'intricata foresta di distorsioni che la precede, una ballata lunare che dovrebbe sciogliere i nodi interpretativi e invece stringe ancor più i lacci della mente. Il disco non offre alcun semplice appiglio, usando un paragone è una scalata a vista, con punti decisamente assurdi, quasi in orizzontale (Way of Ever-Branching Paths). E' un puro e continuo susseguirsi di idee, di chitarre che si moltiplicano, di cori che si sdoppiano, di riff intricati e cangianti, i cui rari rimandi segnalano un raccordo tematico. Non c'è scampo, l'attacco è a 360° e la ratio tecnica del gruppo è al massimo, in particolare i cantanti, uomo e donna, con il loro personalissimo timbro "fuso" di pulito, scream e growl indipendentemente l'uno dall'altro, nei loro rabbiosi botta e risposta, fanno davvero paura se si pensa che nello stesso istante stanno suonando - e cosa stanno suonando.

Ecco, vorrei spendere due parole su Drew e Kathleen, il cuore della band. Zero tatuaggi, dilatatori, borchie, zero minchiate. Uno sguardo gentile. Non diresti mai che suonano hardcore. Per dire, la bella Kathleen (mio personalissimo totem del basso) per tirare avanti lavora in un ristorante. Io trovo assolutamente pazzesco che potrei andare a Saint Simons Island e dare le ordinazioni di due cheeseburger ad una bionda che di sera con il gruppo fa musica come questa. Si, perchè per tacere del discorso "sono come noi" i Circle Takes the Square ci hanno messo otto anni a fare quest'album, senza mai arrendersi , senza mai smettere di aggiungere dettagli ai dettagli, di applicare migliorìe a pezzi complessissimi, e tutto questo probabilmente nel garage di uno di loro. Ci hanno investito soldi, tempo, energie. Si chiama abnegazione, questa; e sarebbe una cosa comune a tutte le band se non fosse che loro, dopo otto lunghi anni di lavoro, mettono questa loro immane fatica in free download. Questa è nobiltà, è amore per la propria arte. Per questo dico, facciamogli un favore, ascoltiamolo questo disco. Perchè non chiedono altro. Ma non pretendiamo di capirlo subito, in uno o due ascolti, dopo tutto il sudore che ci hanno messo. Sarebbe arroganza.

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