Richard Sanderson ha danzato una sola estate.
Assaporando il miele succoso del successo, lo fece però per una sola volta. Sanderson infatti ha interpretato "Reality", scritta da Vladimir Cosma. Una canzone lenta, sentimentale, sognante, anche un po' sdolcinata se vogliamo, ma perfetta per descrivere i palpiti amorosi di un'adolescente, con la voce chiara di Richard.
Vladimir Cosma, che presenta un nome abbastanza discusso ai giorni nostri e poco in tema con l'atmosfera della canzone, è un conosciuto arrangiatore e pianista rumeno, un piccolo Henry Mancini dall' est europeo.
Ah, Il tempo delle mele!
Il film che ha segnato generazioni, facendo sospirare adolescenti e adulti nostalgici, ma anche provocando il panico tra coloro che non sapevano esattamente come affrontare la propria adolescenza senza una colonna sonora di Richard Sanderson nei paraggi.
Diciamolo subito: questo non è un film, è un'esperienza mistica. È un viaggio profondo in strati brillanti e mai rimossi dell'adolescenza. È la dimostrazione cinematografica che, negli anni '80, gli adolescenti vivevano in una dimensione parallela ed in corto circuito con il mondo degli adulteri. In cui tutto era accompagnato da sguardi languidi, sorrisi placidi, feste in cui regnava l'illusione della sala da ballo. Illusione perché realmente nessuno ballava davvero, perché era così cool stare nell'ombra, sommersi in qualche divanetto. Con walkman potenti talismani di un potere segreto e magnetico, che sembravano avere il potere di indurre emozioni profonde da un mezzo sorriso, dato all'amico a fianco e scambiato per proprio.
Vic, la protagonista, è un’adolescente come tante, solo che vive in una realtà in cui tutti sembrano un po' più belli, un po' più confusi, e decisamente più ossessionati dalle mele di quanto sia ragionevole. Quando Vic scopre l'amore, non lo fa con la calma di chi si lascia trasportare dagli eventi, ma con l’intensità di chi ha appena scoperto l’esistenza della quarta dimensione: tutto ciò che accadrà dopo sarà solo estasi e scissione da ogni sensazione utilitaristica.
Il vero enigma di questo film non è il dramma adolescenziale, ma l’incredibile capacità degli studenti di organizzare feste che sembrano orchestrate da un cineasta sperimentale, un tipo alla Nicolas Winding Refn, per esempio. Molte scene sono tutte un caleidoscopio in downtempo, luci soffuse, la musica struggente arrossata dall' incedere dei neon, rallenty ingiustificati… È come se ogni festa fosse stata diretta da un regista in crisi esistenziale.
Ah, la scena del walkman. Il momento che ha mandato in confusione quasi ogni ragazzo degli anni '80. Quando Vic si mette le cuffie e "Reality" inizia a suonare, è chiaro che non siamo di fronte a una normale storia d’amore: è una questione cosmica, un salto interplanetario, un passaggio interdimensionale che porterà Vic e il suo amore adolescenziale in una dimensione struggente Alla fine, Il tempo delle mele non è un film, ma un’esperienza mistica che ti lascia con un senso di vaga malinconia e la certezza che l’amore adolescenziale è la cosa più seria che esista prima di contrarre un mutuo per la casa.
E quindi dopo aver inscenato tra ormoni in libertà questa evanescente allegoria della crescita e delle sue inevitabili stonature, dopo tutti i balli i fremiti gli ammiccamenti alla scoperta del sesso, le mele acerbe il cui tempo non sembra arrivare mai maturano a tradimento nel romanticismo di una sola banale e perfetta canzone.
Quella Reality, melenso lento d'acchiappo, quelle note in cui ci cullammo all'infinito.
E senza accorgersi che spesso quel lento lo ballavamo da fermi, ad occhi chiusi e da soli.
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