Mi sono innamorato di nuovo, di Colin Stetson.

Stavolta è un sassofonista, statunitense, quarantenne che di jazz inteso come jazz ne produce (secondo me) ben poco. Suona strano e minimale, quasi nulle le fughe improvvisate, reitera nei suoi pezzi accordi su accordi fatti di soffi brevi ma corposi che tendono a rimanere sospesi nell’aria, a librare leggeri ma insistenti.

All This I Do For Glory” (2017) non è un album complesso, non è il classico sax-sound che potrebbe rimanere pesante al fruitore non avvezzo alle digressioni jazz. I sei pezzi sono idee impressionistiche che si sviluppano circolarmente e che si avviluppano continuamente su loro stesse. “All This I Do For Glory” è vapore sonoro che s’appiccica alla pelle, è una nuvoletta di Fantozzi che, invece di far scendere pioggia, scarica piacevoli armonie.

Colin Stetson crea musica "spaziale” intesa non nell’accezione classica di “space-music” ma come musica “materica” che sembra esistere fisicamente, che sembra avere un’autonoma corporeità. E’una baritonale illusione sonora in cui è bello perdersi, in cui ci si sente protetti. Difficile trovare sonorità acute (“The Lure of the Mine”), curioso ritrovare nella title-track sensazioni e suggestioni radioediane ("Pyramid Song"?!?), rarefatti e non convenzionali i sostegni ritmici.

E’ musica che si tocca con mano, è musica che tocca nel profondo. Come, quando e, soprattutto, dove spetterà all’ascoltatore decidere.

Innamoratevi.

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