"Collin riusciva a combinare l'approccio accademico e quello istintivo, la passione e il pragmatismo nel modo più totale e completo che abbia mai visto. La bellezza che ha saputo produrre quest'uomo vivrà, e ci sarà per sempre d'insegnamento. La sua impressionante forza e la sua formidabile gentilezza esistono ancora e continuano a guidarci." Ralph Towner.

Collin Walcott se n'è andato nel 1984, a soli trentanove anni, nel corso di un terribile incidente stradale durante un tour europeo degli Oregon, che ha miracolosamente lasciato incolumi gli altri tre componenti della band.

Tra i primissimi esponenti di quella che oggi si chiama con un termine abusato, World Music, musicologo e polistrumentista, Walcott studiò il sitar con Ravi Shankar e il tabla con Alla Rakha. Risale all'inizio degli anni settanta il suo sodalizio artistico con Paul McCandless, Ralph Towner e Glen Moore, prima tra le file del Paul Winter Consort e poi con il gruppo Oregon, del quale incarnò l'anima più etnica e terzomondista. Paul McCandless, la prima volta che ascoltò il suo sitar duettare con la chitarra di Ralph Towner, disse che gli sembrava "musica da un altro mondo", o per parafrasare uno dei primi successi degli Oregon, "Music From Another Present Era".

Delle poche testimonianze da leader che ci ha lasciato Collin Walcott, "Grazing Dreams" (1977) è forse l'opera che esprime al meglio l'ispirazione ed il profondo afflato spirituale di un occidentale che ha saputo capire, penetrare e divulgare la musica indiana nel nostro cosiddetto "mondo civilizzato".

Quanto mai indovinata la scelta dei comprimari: Walcott tiene per sé sitar e tabla, mentre il ventaglio multiforme delle percussioni che si ascoltano sul disco è opera del versatile Dom Um Romao. Palle Danielsson (contrabbasso) conferma ancora una volta di sapersi adattare con estrema facilità alle più disparate situazioni musicali. Altra voce solista, il trombettista Don Cherry, suo compagno nell'altrettanto seminale (e precursore della World Music) gruppo "Codona", geniale collaboratore di Ornette Coleman negli anni più infuocati della New Thing, anch'esso grande appassionato di musica orientale. Infine, il chitarrista John Abercrombie, un musicista troppo spesso misconosciuto o sottovalutato: il suo contributo discreto ma efficace è spesso indispensabile al risultato finale.

Fin dalle primissime battute dell'iniziale "Song Of The Morrow" Walcott ci proietta in una dimensione acustica sognante ed evocativa, venata di una lieve inquietudine. L'intesa tra Walcott e Cherry (qui anche al flauto) è notevole, e il trombettista mette spesso da parte la sua eloquenza pirotecnica per indugiare in note lunghe, pregne di significato e perfettamente allineate all'estetica dell'opera. Abercrombie si insinua negli spazi vuoti, dispensando tenui pennellate che ricordano il suo bellissimo "Characters".

Atmosfere solenni, che chiamano il silenzio ("Moon Lake"), ma punteggiate di momenti danzanti che riportano trattenuti sorrisi ("Gold Sun"). Brevi ma ficcanti momenti di invenzione improvvisativa ("Mountain Morning"), echi degli Oregon degli esordi ("Grazing Dreams", con un ispirato assolo di Abercrombie). Inquietanti suggestioni, come in "The Swarm" ("lo sciame", non a caso), dove tromba, sitar e basso evocano una vorticosa e ipnotica girandola di suoni.

Un disco sussurrato, inusuale, non per tutti i momenti, certo, ma ricco di intelligenza musicale e splendidi passaggi strumentali. Un grande protagonista da non dimenticare.

Carico i commenti... con calma