L'obiettivo è sopravvivere. L'obiettivo finale è arrivare alla conclusione del libro ancora sani di mente e capire che tutto è finito e che almeno noi siamo salvi. E' difficile infatti districarsi tra le pagine di Cormac McCarthy, non tanto per il linguaggio usato, che risulta quasi sempre scorrevole quanto per le scene che la sua penna riesce ad evocare, scene al limite, spesso volutamente portate all'estremo...

Meridiano di sangue è il quinto romanzo pubblicato da McCarthy: siamo nel 1985 e l'eco di "Suttree" è ancora vivo nella mente di chi ha avuto la fortuna di leggerlo. Ben sei anni di buio letterario in cui Cormac McCarthy ha continuato a vivere nella solitudine cercata e voluta della cittadine di El Paso, al confine tra Stati Uniti e Messico: un luogo questo che lo scrittore statunitense ha scelto per due motivi principali. Il primo riguarda la sua collocazione geografica che fa di El Paso una città dove i salotti letterari e il merchandising delle case editrici non riescono ad arrivare: questa lontananza dalla "pubblicità" è quello che McCarthy ha sempre ricercato essendo schivo, solitario. "Dico tutto nei libri" è una delle frasi più famose di McCarthy, quasi a scusarsi con chi non riesce ad avvicinarlo per interviste e cose varie. Il secondo motivo per cui ha scelto El Paso è il paesaggio, quello dimenticato e immutabile che egli racconta nei suoi libri, vero e proprio personaggio aggiunto di un mondo distaccato e quasi irreale. La sua Natura uccide, dilania, fa soffrire e toglie speranza.

Meridiano di sangue è la storia di un ragazzo assoldato da una banda di cacciatori di scalpi, dove emergono due figure principali: quella di Glanton, capo violentissimo e privo di qualsivoglia scrupolo morale e il giudice Holden, un uomo enorme, glabro e amante della cultura, della natura e di tutto quanto possa essere conosciuto dalla mente umana. Il suo personaggio sembra uno strano filosofo del deserto a cui Dio abbia dato delle particolari capacità oratorie. "Supponiamo che due uomini giochino a carte non avendo niente da puntare se non la vita. Chi non ha mai sentito una storia del genere? Una carta viene girata. Per il giocatore l'intero universo si riversa fragorosamente in quell'istante, che gli dirà se gli tocca di morire per mano di quell'uomo o se toccherà a quell'uomo morire per mano sua. Quale ratifica del valore di un uomo potrebbe essere più sicura di questa? Spingere il gioco alla sua condizione estrema non ammette alcuna discussione concernente la nozione di fato. La selezione di un uomo a danno di un altro è una preferenza assoluta e irrevocabile, ed è davvero ottuso l'uomo che considera una decisione così profonda priva di un agente o di un significato. In giochi del genere, in cui la posta è l'annichilimento dello sconfitto, le decisioni sono del tutto trasparenti. L'uomo che tiene in mano una particolare combinazione di carte è in forza di ciò rimosso dall'esistenza. Tale è la natura della guerra, in cui la posta in gioco è a un tempo il gioco stesso e l'autorità e la giustificazione. Vista in questi termini, la guerra è la forma più attendibile di divinazione. E' la verifica della propria volontà e della volontà di un altro, all'interno di quella più ampia volontà che è costretta a compiere una selezione proprio perchè li lega insieme. La guerra è il gioco per eccellenza perchè la guerra è in ultima analisi un'effrazione dell'unità dell'esistenza. La guerra è Dio."

Ma le pagine di Cormac McCarthy non sono solo quelle in cui il giudice Holden si abbandona a divagazioni pseudo filosodiche sulle diverse realtà del creato, sono anche quelle violente e sanguinose in cui si muove la banda di derelitti che monopolizza l'intero libro. Sono le pagine violentissime di un'autore che guarda con nostalgia a quel passato. E' quì che il lettore deve farsi coraggio e inoltrarsi in questo "nuovo universo" dove dominano budella, puttane, viscere, pistole, massacri, alcool, polvere, sabbia, sole, feci, sangue, scalpi, ferite, piscio, orecchie tagliate, crani sfondati, malattie, deformità e crudeltà a livelli inimmaginabili, a volte fin troppo disturbanti. E' la realtà malata di Cormac McCarthy, quella a cui si contrappone una Natura impassibile, violenta anch'essa ma allo stesso tempo monumentale e in qualche modo anche "amica" dei viaggiatori. In questo senso si susseguono pagine a dir poco splendide su cavalcate notturne, l'arrivo placido dell'alba, il suono ovattato del vento che alza la rossa sabbia del deserto. E' nelle lunghe descrizioni dei paesaggi che McCarthy da il meglio di se, regalandoci un libro violento ma emozionante come pochi altri, capace di trasportarti davvero in un mondo altro dove domina il silenzio delle cose perdute e la maestosità assoluta del deserto...

"A occidente il sole tramontava in un olocausto dal quale si levava una colonna ininterrotta di piccoli pipistrelli del deserto, e a nord, lungo il tremolante perimetro del mondo, la polvere soffiava nel vuoto come fumo di eserciti remoti. Le montagne di carta da macellaio spiegazzata si stendevano con ombre angolose nel lungo crepuscolo azzurro, e a metà strada il letto invetriato di un lago in asciutta barbagliava come il mare imbrium, e branchi di cervi avanzavano verso nord nell'ora estrema del mondo, incalzati sulla piana da lupi dello stesso colore del deserto."

 

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