Io sono molto incline ai generi musicali cui David Crosby e Graham Nash appartengono, alla psichedelica a tutti i costi ed al british powerpop cascasse il mondo, e non posso non premiare le stupende, delicatissime ballate che i due terzi (o tre quarti) del più celebre supergruppo del pianeta ci propinano in questo disco.  La dolcezza delle melodie di Nash e la psichedelia proto dream pop di Crosby funzionano a meraviglia, nella pomposa "Out Of The Darkness", nella docile e confidenziale "Foolish Man", in cui il gusto per il lisergico pare ancora una volta molto utile per riproporre schemi e suggestioni Old America... Ed ancora nella canzoncina d'amore, da vero Beatle psichedelico californiano, intitolata "Marguerita", cosiccome nella deliziosa melodia adolescenziale "J.B.'s Blues".

Il problema nasce allorquando Crosby decide di proporre la sua psichedelia pura, acquatica, acustica, per intenderci nello stile del suo celebre "If I Could Only Remember My Name": l'ispirazione è nettamente inferiore, e la quasi titletrack "Broken Bird" non riesce a rievocare quei livelli d'un tempo. Eppoi "Dancer"... Beh "Dancer" o è una corbelleria o è una genialata: fate vobis, anche se per me è la prima.

Alla fin fine gli anni passano per tutti, se la forma è meno smagliante non è mica un peccato mortale, ed è giusto, o perlomeno ha un suo senso, ritrovarsi alle prese con un disco fatto interamente di ballate pop, melodie solo condite di psichedelia, hippie rock o del freak-beat nashiano, ma che potrebbero vivere autonomamente ed in salute anche se fossero semplicemente immerse dentro ad un liquido amniotico pop, come la non sensazionale "Spotlight", perfettamente allineata col powerpop americano del tempo, Supertramp in primis.

Non che "Whistling Down The Wire" mi dispiaccia, lo ritengo meglio dell'esordio seppure un gradino sotto "Wind On The Water", però ritengo quantomeno un po' deludente questo loro ricorrere all'éscamotage della ballad amorosa o comunque tutta buoni sentimenti quando, assieme o senza Stills e Neil Young, hanno saputo propinare pop accattivante, psichedelia trasognata, fulgide armonie hippie, rock melodico e intelligente, folk generazionale. L'inno rock di assoluto valore "Mutiny", veramente degnissimo dei tempi migliori, piuttosto che consolarci non fa altro che peggiorare le cose. E' infatti testimonianza di una qualità e di un'ambizione che in questo disco non c'è più.

Forse l'oscuro predecessore, "Wind On The Water", che segnava il passaggio tra la giovinezza e l'età adulta nonché s'ergeva ad emblema della fine precipitosa di tutta una serie di  aspettative sessantottine, non poteva far altro che trovare quiete in questa musica contemplativa, rappacificata, a ritmi blandi, rassegnata?, rasserenata, come quando si trova quiete a séguito di un processo doloroso e trasformativo. Fatto sta che, buoni o no, i pezzi di Crosby e di Nash mancano di quel qualcosa  che rese grandi i due singer-songwriters: il fascino, il calore, l'atmosfera, magari quella consapevolezza che non si stava solo facendo musica, ma che si stava partecipando attivamente ad una storia, anzi che la storia la si stava scrivendo, cantando, vivendo, e perché no?, anche determinando, con tutte quelle magiche canzoni e con i loro ambiziosi progetti musicali. Ed ovviamente con quei concerti ancora negli occhi di tutti noi.

Ma anche quella, come tutte le altre, era alla fin fine una storia destinata a concludersi.

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