I Cryptopsy sono uno di quei gruppi in continua evoluzione che fanno corrispondere ad ogni release un cambiamento di rotta senza per questo diminuire la qualità, sempre ottima e sopra la media. La qual cosa può essere provata empiricamente dall’ascolto in sequenza cronologica dei loro dischi: dall’esordio “Blasphemy Made Flesh” fino all’ultimo “Once Was Not”, si notano differenze che li mantengono sempre sulla vetta e al passo con i tempi. “… And Then You’ll beg” è uscito nel 2000 ed è la riprova di quanto detto sopra: per quanto i cinque canadesi (la line up vede l’ingresso del secondo chitarrista Alex Auburn) continuino la strada intrapresa con il precedente “Whisper Supremacy”, arricchiscono il loro sound con nuovi elementi che rendono questo lavoro tutt’altro che un clone del sopraccitato. Il batterista Flo Mounier dimostra, come sempre, di essere tra i migliori (secondo me IL migliore) nell’ambito e amplia ancora il suo bagaglio tecnico: i tempi sono sempre molto veloci e c’è pochissimo spazio ai rallentamenti ma rispetto ai capolavori del passato, si fanno strada i cosiddetti “tempi composti” (ovvero tempi la cui base non sono i canonici quattro quarti). A dire il vero non è una novità assoluta in quanto i Gorguts avevano sperimentato questi ritmi già in “Obscura”, pubblicato due anni prima: ma i Cryptopsy lo fanno con rinnovata brutalità e senza accantonare completamente la solida base di Brutal Death metal. Non fatevi trarre in inganno dalla voce dai toni leggermente Hardcore-Punk di Mike DiSalvo, succeduto già in “Whisper Supremacy” al più tradizionalista Lord Worm: i nostri (musicalmente parlando) crescono, ma non per questo abbandonano le loro origini di Death metal band. Tuttavia i riff di chitarra si fanno più ricercati e la stessa distorsione è molto più “abrasiva” rispetto agli esordi, sebbene perda un po’ in fatto di potenza.
Non fraintendete, non siamo di fronte ad una release deludente o meno estrema, anzi: l’ascolto è molto più difficoltoso e richiede nervi molto saldi. A fianco di canzoni intensissime e della durata di circa due minuti, come “My Prodigal Sun” o “Voice Of Unreason”, troviamo dei veri assalti sonori lunghissimi (è il caso della conclusiva “Screams Go Unheard” o di “We Bleed”) in grado di minare anche la fermezza di un ascoltatore allenato. Da notare anche la presenza del remake di una canzone scritta pubblicata nell’Ep d’esordio dei Cryptopsy, “ungente Exhumation” del 1994: la canzone in questione è “Back To the Worms” e si distingue dalle altre per essere maggiormente ancorata alla tradizione del Death metal. Come sempre il bassista ci regala dei magnifici stacchi che mettono in mostra la sua abilità ma anche le grandi doti compositive del gruppo. Le canzoni sono molto strutturate, al limite del macchinoso, e rendono il disco veramente contorto e difficile da decifrare: anche i testi sono criptici (passatemi il gioco di parole) e, come già fatto nell’album precedente, tralasciano le tematiche classiche del Death metal diventando assolutamente visionari e allegorici.
In generale, tutto l'album si potrebbe definire allegorico: ogni suono, nella sua astrattezza, è fortemente intriso di significati che però non possono essere dipanati se non dopo molti ascolti. Il merito (anche se i fan più intransigenti non lo considerano tale) va tutto al nuovo cantante che si dimostra più eclettico del suo predecessore e pone il suo marchio di fabbrica su ogni canzone. Ottima prova anche del nuovo chitarrista, che si dimostra perfettamente all’altezza dei suoi compagni, celebri per essere degli esecutori impeccabili. La produzione, in accordo con la proposta di questo disco, è molto chiara e pulita e non soffoca nessuno strumento: al contrario, esalta tutti i suoni e in particolare riesce ad esaltare i solos di chitarra, sempre in linea con la “melodia” delle canzoni come da tradizione Cryptopsy.
Non escludo che questo cd possa non piacere a molti amanti del genere, soprattutto agli integralisti, perché è un disco anomalo: inoltre sconsiglio assolutamente l’ascolto a chi si avvicina per la prima volta a questo gruppo o, peggio ancora, a questo tipo di musica. Sebbene non sia mai esageratamente inascoltabile, “… And Then You’ll Beg” è troppo intricato per piacere immediatamente, più ancora se si è dei neofiti. Il succo però non cambia: il lavoro è inconsueto ma di alta classe. L’innovazione ha strada libera anche se a discapito delle fitte tenebre che caratterizzavano i lavori con Lord Worm (e che avanzano di nuovo minacciose nell’ ultimo “Once Was Not”). Cervellotico e adatto solo agli intenditori, ma con un mood meno oscuro che lo colloca un gradino sotto ai fasti di “None So Vile”.
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