Avrebbero meritato una carriera più lunga e solida questi Cutting Crew… bisogna invece accontentarsi dei quattro dischi che hanno pubblicato, i primi tre da giovanotti ormai un quarto di secolo fa e l’ultimo frutto di una relativamente recente, parziale ricostituzione. “The Scattering” è il secondo in ordine di tempo e riuscì allora (1989) ad assolvere il compito di non far rimpiangere l’ottimo esordio “The Broadcast”, però nessuno dei singoli estratti ebbe modo di farsi particolarmente strada nelle classifiche com’era invece successo all’irresistibile “(I Just) Died In Your Arms” tre anni prima e così, senza il traino commerciale di un vero hit, l’album ebbe riscontri solo decenti.

Per chi non li conosca o non se li ricordi, Cutting Crew è un quartetto anglo/canadese di pop rock morbido ma ben ritmato, arrangiato e suonato con classe e misura. Siamo, come genere, dalle parti dei Genesis era Collins ma in meglio, perché i tappeti e gli arpeggi di tastiere del produttore Peter John Vettese (un ex-Jethro Tull) valgono anzi superano lo sparagnino contributo alla causa dell’involuto Tony Banks post anni ‘70, mentre i ricami e i break di chitarra del bravissimo e compianto Kevin McMichael surclassano quelli del mediocre solista d’emergenza genesisiano Mike Rutherford, e infine la voce di Nick Van Eede è ben più suggestiva e brividosa in confronto a quella del pur dotato Phil Collins.

Tre gioielli di canzone svettano fra le undici di quest’album, a mio sentire: prendendole in considerazione in ordine di apparizione in scaletta, la prima è quella eponima del lavoro e si avvale di un’intera sezione di cornamuse celtiche, a pompare sensazioni molto britanniche e bucoliche dentro l’abituale, rotonda e melodica proposta pop della banda.

Altro vertice del lavoro, probabilmente quello assoluto, è la ballata “Reach For The Sky” che s’avvale di una pregevole melodia nel ritornello, non per niente piazzato subito ad introdurre il brano, nonché di un lavoro particolarmente sensibile e ispirato alla chitarra solista dell’eccelso McMichael, un musicista che suonava in maniera parca quanto gustosa ed intelligente, con risultati di costante e speciale qualità ed efficacia. Per averne la controprova si può andare ad ascoltare quello che combinano le chitarre su “Fate of Nations”, ottimo album di Robert Plant del 1993: è tutta farina del sacco del rimpianto chitarrista canadese.

Splendida per finire la chiusura dell’album, affidata al solo pianoforte e alla voce intensa e romantica di Van Eede: “(The Great One-handed) Brag” è una canzone ultra malinconica e veramente toccante, specie se ci si concede di concentrarsi al suo ascolto seguendo anche le liriche. Il timbro lievemente roco e molto dinamico di Van Eede, il suo notevole talento interpretativo, la sua passione artistica qui fioriscono rigogliosi e fanno ritenere un vero peccato che gli sfocati Genesis di metà anni novanta, abbandonati anche da Collins e per l’ultima volta ancor vogliosi di andare avanti, abbiano scartato questo squisito cantante al giro finale dei provini, preferendogli il più oscuro ed assai meno emozionante Ray Wilson per il loro epitaffio di carriera “Calling All Stations”.

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