Tu prova ad avere un mondo nel cuore / e non riesci ad esprimerlo con le parole / e la luce del giorno si divide la piazza / tra un villaggio che ride e te, lo scemo che passa / e neppure la notte ti lascia da solo / gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro...

A vederlo così, Nòi, sembrerebbe uno scemo. Lo scemo di un villaggio a due passi dall'Artide. Lo conoscono tutti ormai. Secondo me Nòi è un incompreso, perché quando ne ha bisogno è dritto, eccome.

Nòi abita con una nonna paterna che non tanto ci sta. Ogni tanto accoglie dei contatti con il padre, un cazzone alcolizzato, spavaldo e fumiere e abbandonato dalla moglie per giunta. Magari non è un tipo proprio brillante tra i banchi di scuola, dove spesso lascia l'alone caldo del suo fiato dormiente o un registratore per acquisire le lezioni in sua assenza. All'occorrenza sa essere scaltro, lesto e anche sorprendente. Sa armeggiare con i grimaldelli e sa guadagnarsi una birra doppio malto manipolando la slot-machine dell'unico bar. E sa anche aprire una portiera per far partire l'auto con il trucco dei contatti elettrici. Magari sono azioni non proprio esemplari ma uno scemo, magari, non le sognerebbe neppure. Allora è un ingenuo?

Però, quando riesce ad indovinare il colore delle sfere invisibili per guadagnarsi qualche paginetta di una rivista porno ben custodita dall'amico libraio, cos'è?  E quando viene sottoposto ad interrogatorio da uno psicologo? Sarà lui a mettere in difficoltà il professionista mentre risolve contemporaneamente il terribile Cubo di Rubik! Mah! Allora diciamo che Nòi è un distratto. Non uno scemo. Anche se in quel pugno di case impaludate nella neve la pensano diversamente.

Nòi ha un cuore timido con qualche spazio libero dove ha riposto dei sentimenti. E qualche altro forellino per i desideri. Nessuno può impedire ad uno scemo di sognare. E' difficile trovare il tempo per i sogni quando al mattino vieni svegliato dall'imponenza di un collinone di ghiaccio. Ghiaccio che ti aggredisce ovunque e vento che ti prende a schiaffi. Riesce difficile anche difendersi da questa natura impervia se la neve ti attanaglia le caviglie ad ogni passo.

Nòi vuole sognare e lo fa attraverso un binocolo a diapositive. Uno di quei souvenir di plastica rossa che non sarà mai mancato nello zaino, di ritorno dalla gita scolastica di quinta elementare implacabilmente svolta a Roma. Così come, almeno per me, la sciarpa della Juventus ferma ancora a 22 scudetti che avrei mostrato raggiante dai finestrini del pullman mentre affiancavi quello delle altre classi, in fila al casello per il pedaggio. O quei matitoni di mezzo metro che non scrivevano mai con all'apice una gomma che avrebbe solo macchiato, un campanello e cinque matitine in miniatura.

Nòi trova anche il tempo per riflettere e lo fa in un buco ricavato sotto una botola in cantina, ricoperta da un efficiente tappeto che garantisce la privacy.

E l'amore? Tra le stalattiti tirate giù a fucilate, come una stella alpina, sboccia anche lui. Nel blocco solido a vetri del bar-carburante tra una sigaretta fugace e un bacio caloroso strappato tra animali imbalsamati, prima dell'arrivo del custode che ti farà scoprire le Hawaii. Indirettamente. E' lì che Nòi vuole fuggire, magari con Iris. E per questo motivo dilapiderà il suo conto per un bel vestito, anche se ai piedi non si libera delle Adidas abbastanza usurate. Sarà il fondo di un caffè a scrivere, purtroppo, un abominevole destino. E anche quando sembra che tutto sia andato perduto, la sua forza di volontà lo spronerà a saltare l'ostacolo. Con l'aiuto di un panciuto aborigeno ammiccante e quelle palme deliziose tanto desiderate. Basta spingere sulla leva. E si continua a sognare.

Il giovane regista Dagur Kàri confeziona un bel film, girato nella freddissima Islanda con pochi mezzi. Quello che sarebbe dovuto essere un cartone animato, viene dotato di un cuore e di un'anima, materializzandosi in un ragazzo difficile da qualificare. Sicuramente buono, innocuo, che vorrebbe evadere anche con violenza ma non riesce. Non è nella sua indole. Ciò che lo circonda è abbastanza asfittico, gente e luoghi. Ordinati, scarni ma essenziali, puliti poco più del necessario ma mai superflui o squallidi.

Nonostante gran parte della pellicola sia dominata da un largo uso di colori freddi, come se non bastasse il paese in cui è ambientato, il regista, con un tocco d'artista davvero geniale, li converte in un preciso momento. L'unica volta in cui viene usata una fotografia calda, accade quando Nòi si rifugia nel suo privatissimo antro. E' l'unica volta in cui sfoggia una camicia scozzese di tessuto rosso, che sostituisce un giubbotto color ghiaccio (tanto per cambiare) e accende una stufa per riflettere. Accompagnato da un arpeggio di chitarra elettrica davvero delicato. Rassicurante direi. Il resto è freddo come la sua vita.

Film che in Italia, ovviamente, sarebbe passato in sordina se non grazie a Dio che ha fatto in modo che fosse presentato al Torino Film Festival, non a caso la migliore rassegna italiana.

Non sarà difficile amare Nòi. E non sarà difficile neanche piangere un po'.

But the fool on the hill / sees the sun going down / and the eyes in his head / see the world spinning round...

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