Un'altro viaggio alla riscoperta della musica leggera, perchè no? Beh, qualche motivo in teoria ci sarebbe, in primis perchè ormai della musica leggera non importa niente a nessuno; prima di tutto, esiste ancora la musica leggera? Io direi di no, almeno non da queste parti, non nell'accezione classica del termine, quella che il bravissimo collega Spoonful propone su queste pagine. Hollywood e gli anni '80 hanno segnato la fine di questo "ideale" prettamente, squisitamente europeo; gli ABBA, i più grandi portabandiera di questo genere, si fermano nel 1981, lasciando di fatto campo libero a personaggi di altro genere, che stravolgeranno completamente la percezione e il modo di intendere la musica pop, imponendo nuove regole, con la forza bruta del Dollaro e dei nuovi mass-media. I risultati sono sotto gli occhi di tutti; oggi non si parla pù di melodie, solo di personaggi (la cui arroganza è direttamente proporzionale alla mediocrità), di immagine, di videoclip, di gossip. Non esistono più gli interpreti, tutti si sentono in grado di poter trasmettere un messaggio, poco importa se finto, inutile, costruito o insignificante.

O tempora, O mores! Il mainstream di oggi è una latrina, punto, dato di fatto, ma la lamentela fine a sè stessa è pure peggio. Di bravi artisti (P-O-P) ce ne sono e ci saranno, basta avere un minimo di passione e buona volontà, e se ne trovano in abbondanza; purtroppo molti queste cose non ce le hanno; preferiscono lamentarsi dei talent sciò e farsi guidare all'ovile dal solone di turno. Ma Daliah Lavi viene prima di tutto questo, è un simbolo di un'epoca perduta, un'epoca che indubbiamente è finita anche per cause "naturali", perchè aveva esaurito tutto ciò che aveva da esprimere, ma che non non merita assolutamente l'oblio a cui è stata destinata. Nata nel 1942, in quello che all'epoca era ancora il Mandato britannico della Palestina, elegante, bellissima, Daliah intraprende ben presto una prolifica carriera di attrice, culminata nel 1967 con un ruolo in "Casino Royale", il primo 007, e conclusasi pochi anni dopo. A partire dai primi anni '70 si stabilisce in Germania e abbandona il grande schermo in favore della musica, affermandosi come una delle massime esponenti della scena Schlager. Schlager!? E che roba è? Molto semplicemente, easy-listening mitteleuropeo a base di spensierate canzonette e ballate sentimentali, orchestrazioni, chitarrine, accenni folk, una delle cose più kitsch mai inventate, insomma. Anche se per un breve periodo, anche LEI è stata Schlager, così, tanto per dire.

Ma Daliah Lavi era kitsch al punto giusto, mai in maniera esagerata, e soprattutto aveva Classe. Oh, e anche una bellissima voce, vellutata, duttile, particolarmente espressiva, grazie anche al background come attrice. Una perfetta entertainer e ottima interprete, capace di cimentarsi con classici di vario genere, in tedesco e riadattati con testi ad hoc: il country classico di "Lonely Hearts Club", "Il Venait d'avoir 18 ans" di Dalida, "I Just Called To Say I Love You" di Steve Wonder in una piacevole veste synth-poppeggiante, Non mancano finezze come "If You Could Read My Mind" del grandissimo Gordon Lighfoot, a cui Daliah rende onore con garbo e la giusta carica melodrammatica, "Soldiers Who Want To Be Heroes" del cantante-poeta Rod McKuen, con la sua allegria agrodolce e una "Nichts haut mich um, aber du", alias "I Get A Kick Out Of You", affrontata con un piglio deliziosamente sognante e "sdolcinato". E anche "Ein Schiff Wird Kommen", che merita un apprezzamento ancora più particolare: per me "Ta Paidia Tou Piraia" è solo quella di Melina Mercouri e la cover (sempre in lingua originale) dei Pink Martini, le varie "Never On Sunday" non mi sono mai piaciute, ma Daliah Lavi riesce a trovare la quadratura del cerchio con una leggiadria naturale, spontanea, che cattura perfettamente l'essenza della canzone.

E ovviamente tanti "motivetti" retrò, cartoline in B/N, oppure straordinariamente vivide e variopinte, come le vedo io: il "gioiello della corona" è sicuramente "Jerusalem", sinuosa e malinconica folk-ballad con una melodia assolutamente impeccabile, poi "Schicksalmelodie", suggestiva divagazione classica, "Schalt Dein Radio Ein" e "Wer Hat Mein Lied So Zerstort, Ma?", piacevoli numeri musical-cabarettistici, le brillanti melodie gitano-balcaniche di "Liebeslieder Jener Sommernacht" e "Akkordeon", e ogni tanto qualche ballatona; ma ci sta alla perfezione; anche queste sono semplicemente "canzonette", nessuna menata, nessuna ostentazione. E infatti ormai Daliah Lavi è roba per pochi, di certo non per chi si vuole pavoneggiare o cerca qualcosa che vada al di là del semplice concetto di "musica da intrattenimento" tout-court, concetto che secondo me merita ampio spazio e credito. Per me, poppettaro con tendenze ultra-conservatrici nonchè germanofilo convinto, un disco del genere è manna dal cielo, per altri magari rappresenterà qualcosa di diverso, magari qualcosa di non esattamente positivo; e mi sta benissimo. L'importante è averne parlato, aver offerto una prospettiva unica. Detto questo, buon 2016 a tutti eccetera eccetera bla bla bla...

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