“Il disco che mi salvò la vita”
Forse non vi ho ancora raccontato di quella volta che, imbarcatomi per il nuovo continente incappai in una tempesta violentissima, la quale mi lasciò unico naufrago superstite del Transatlantico. Alcuni giorni in balia delle onde e un’isola finalmente m’accolse. 15 interminabili giorni ai limiti della resistenza. Tra gli inutili oggetti recapitatemi delle onde lungo la spiaggia, forse parte del carico della mia sommersa imbarcazione, un cd reso impermeabile, e dunque sano, dalla sua pellicola di plastica. “Song To The Siren” Damon & Naomi 2002 Sub Pop. Queste scritte unico segno di civiltà, in un fazzoletto di sabbia palme e crostacei; un tempo vacanza da favola ora incubo, da paesaggio incantato a nemico ostile.
Il silenzio assoluto, per giorni, nel buio della notte e sotto il sole cocente, l’avete mai ascoltato veramente? Okkey, il silenzio è importante, và riscoperto, però non ditelo ad un naufrago cotto dal sole, bruciato, deperito e soprattutto musicodipendente, potrebbe non capirvi.
Non ricordo come andò, ma il dischetto provai ad appoggiarlo su di una pietra ovale, che avevo cura di girare regolarmente con le dita dei piedi, e la chela di un granchio a far da puntina. Incredibile ma funzionò. Il silenzio si ruppe e il mio corpo cominciò a secernere sostanze inebrianti che nemmeno la più potente delle droghe. Ero ancora vivo.


Undici ballate acustiche registrate dal vivo a San Sebastian.
Damon Krukowski e Naomi Yang, un tempo la spina dorsale di uno dei migliori gruppi dell’Alternative Rock Statunitense, i Galaxy 500, nel ‘91 decidono di mettersi in proprio. I risultati sono, se possibile ancor più sorprendenti. Questo disco, che è la testimonianza live di un progetto in studio realizzato nel ‘01 con i Ghost, fantastico gruppo neo-psichedelico giapponese; testimonia l’unicità del lavoro compiuto da Damon e Naomi negli anni 90. Nel tour il Nostri non potendo contare appieno sul collettivo nipponico, si limitano ad assoldare il solo chitarrista dei Ghost, Kurihara, di recente indicato dal Times come il Jimmy Page dell’underground Giapponese. Il disco in questione si colloca ampiamente, nella glorifica tradizione dei concerti acustici per chitarra e voce. Al canto si alternano con gli stessi formidabili risultati di intensità e dolcezza, entrambi i titolari del progetto. Ad accrescere il valore dell’opera, le sferzate d’energia di Kurihara, che inserendosi perfettamente, senza snaturare l’equilibrio della coppia, si lancia in lunghi, puliti e sognanti assoli. Imperdibile.

Da ascoltare sdraiati sotto un celo di stelle, meglio se su un’ isola deserta, dove il sogno è reale e la fantasia unica legge gravitazionale, inesprimibile a parole.


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