Se qualcuno ha memoria del buon Dan Hill è proprio per questo disco del 1977 che trainato dal singolo «Sometimes When We Touch» fece capolino anche in Italia: una canzone strappacuore (o strappa-mutande, dipende dalle circostanze) con un’appropriata enfasi di testo e musica, che immagino sia stata la ragione del mio acquisto in quei tempi
Per il resto, un album di “onesto cantautorato”, orchestrato senza particolare originalità – ma con un bel contributo di Bobby Ogdin alle tastiere – che soffre però di una certa verbosità espositiva: canzoni che parlano d’amore, scritte con accento sincero, di un amore sempre tormentato, evocato o rimpianto che però solo in quella già citata centrano davvero una frase - un ritornello vorrei dire - che ti entri in testa e sappia emozionarti.
Altre volte – la maggior parte – le liriche non riescono a fare sintesi e si dilungano più del necessario “a spiegare e a raccontare” i sentimenti, quasi che invece di una canzone fosse la pagina di un diario delle sue pene d’amore. E allora metterei come pezzo “second best” la breve ed essenziale «You Are All I See», mentre – nonostante il supporto dei testi nel folder interno - ho trovato particolarmente “faticose” da ascoltare la title track e la conclusiva «Still Not Used To».
Insomma, un album non certo indispensabile per di più con una copertina da dimenticare e lui - canadese dell’Ontario (un vivaio che qualche anno prima, e su tutt’altra scala di valore, aveva espresso gente come Neil Young, Robbie Robertson e anche Bruce Cockburn) – è autore dignitoso, ma circoscritto alla categoria del “sentimentalismo melodrammatico” che in questo genere alla Celine Dion troverà ancora qualche pezzo da classifica nel corso della sua carriera. Quanto a LONGER FUSE (traduzione: una miccia più lunga, chissà a cosa si riferiva!) tanto vale invece ascoltarsi in rete il pezzo “buono” … all’occorrenza.
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