Guardare Slumdog Millionaire è come assistere ad una puntata di "Chi vuol essere miliardario?". Con qualche piccola differenza.
Se quella sensazione di avere la risposta sulla punta della lingua o la frustazione di non essere sicuri di saperla veramente (per non parlare della vergogna di essere l'unico, delle persone con cui stai vedendo il film o trasmissione che sia, a non saperla proprio!) è la stessa, il processo che porta alla risoluzione di tale risposta è diverso da ogni singolo individuo, ma, vedendo il film, siamo tutti uniti ed ansiosi di scoprire il perchè il protagonista riesca a riuscire a sapere tutte le domande che gli vengono poste.
Come può un "cane randagio", cresciuto nei quartieri poveri di Mumbay, arrivare fino alla domanda finale, è presto svelato, in un racconto su tre livelli temporanei che compongono la vita di Jamal, da quando era seduto, da bambino, in una latrina in posizione defecante, fino a che si ritrova seduto, in un'altrettanta scomoda posizione, nella sedia del set di un programma televisivo che gli sta facendo vincere 20 milioni di rupie. Come possa veramente, questo cameriere di tè in un call-center, sapere con estrema sicurezza e apparente facilità tutte quelle risposte è l'interrogativo che ci accompagna per tutto il film e che rende nervosi sia la polizia, che lo arresta con l'accusa di bleffare, che il famoso presentatore indiano Prem.
È semplicemente la sua vita vissuta tra le strade dell'India, rappresentata in tutta la sua durezza e miseria, a permettergli di superare ogni domanda, rinunciando ogni volta a qualcosa di molto più concreto dei soldi che gli vengono offerti per fermarsi, dall'inestimabile prezzo che un'autografo dell'attore più famoso indiano può avere per un bambino al valore della vita dei suoi stessi amici e familiari. Ed è tutto qui, il senso di un film che poteva essere perfetto, se consideriamo il finale solo come un semplice omaggio al cinema bollywoodiano e niente più, ma che rimane comunque interessante, piacevole, ritmico e appasionante. Se solo avesse avuto una colonna sonora più autorevole e protagonista di quanto già lo sia e una spiegazione alla domanda finale più chiara e rivelante, allora sarebbe veramente stato il film da sostituire a Traispotting nella mia personale classifica della filmografia di Danny Boyle.
Ma forse sono solo io che chiedevo troppo da quest'ottimo film, che non è riuscito a soddisfare in pieno (ma, credetemi, c'è riuscito per buona parte) le mie aspettative, fornendomi una risposta relativamente troppo semplice alla mia esigente domanda.
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