"I prodotti psichedelici hanno tre effetti collaterali. Il primo è un incremento della memoria di lungo termine, il secondo è una diminuzione della memoria di breve termine, il terzo... il terzo l'ho dimenticato". (Timothy Leary)
"La versione italiana è migliore dell'originale". Credo che mai nella storia del cinema un regista (anche se nominalmente la direzione qui è affidata a Henry Selick) abbia preferito la pellicola doppiata (sulla quale di fatto non può esercitare un controllo) alla "sua" creazione. Mai fino al 1994, quando Tim Burton, pronunciò queste esatte parole alla mostra del cinema di Venezia. Un omaggio ruffiano al nostro Paese? No, la semplice constatazione di un dato di fatto. Questo è il disco che testimonia la genialità di Renato Zero (e che innescò il suo rapporto di amicizia con il regista di Burbank). E questa pseudo-recensione è l'apologia che vuole ribadirla.
"Zero è, e di gran lunga, il più grande artista italiano vivente". L'avrei ritenuta un'affermazione assurda fino a pochi anni fa (anche perché Carmelo Bene era ancora vivo), quando mi sono imbattuto in questa colonna sonora, oggi fuori catalogo. E che mi ha portato a distaccarmi, almeno per un po', dai vari Backaus, Schnabel, Fisher per approfondire la conoscenza di questo strano personaggio, generalmente giudicato (o meglio, pre-giudicato), alla stregua di un fenomeno da baraccone. E' stato un incontro felice.
Nel '94 Renato aveva riacquisito per intero il seguito di sorcini perduto nella crisi di metà anni '80. Il riposizionamento come icona nazional-popolare era compiuto e definitivo. Poteva permettersi, una tantum, di sperimentare, di provarsi in ambiti diversi da quelli abituali. La sfida che si impose era impervia: rendere in maniera credibile un character, quello di Jack Skeletron, oltremodo sfaccettato, sempre in bilico tra innocenza e malvagità, esaltazione e abbattimento, dramma e farsa, volontario isolamento e desiderio di condivisione. E' pur vero che Zero fu favorito dal suo approccio alla musica, allo spettacolo, di matrice prettamente teatrale; ma quello che ne scaturì non è un semplice doppiaggio: è un formidabile manuale di recitazione e interpretazione. Il migliore in circolazione.
Mi ero sempre chiesto il perché di un'intervista del 2000 in cui il maestro Riccardo Muti, che non credo sia l'ultimo arrivato, dichiarava di ascoltare, tra i cantanti "leggeri", proprio Zero. Questo cd, (che ho ascoltato per la prima volta dopo aver mangiato degli ottimi funghi consigliati dal noto gastronomo Castaneda, e forse è proprio questa circostanza a rendermelo così caro) è la risposta.
Renatino si arrampica sullo spartito di Elfman con una sicurezza impressionante. Trasmette tutto l'abbrutimento del protagonista nell'introduttiva "Re del blu re del mai", la sorpresa che tracima in gioia in "Cos'è", i dubbi e le speranze ne "L'ossessione di Jack", fino alla dolente disillusione di "Povero Jack". La voce è quella che da quel giorno ho imparato ad amare: profonda, brunita, potente. Con lo spleen nel dna, retrogusto nostalgico e malinconico che emerge anche negli espisodi più ironici o sguaiati. Ma qui non c'è nulla di eccessivo. O meglio, è l'eccesso di bravura che si dispiega in regola. Tecnica e talento. E' una macchina perfetta, ma con l'anima.
Lo ammetto, questo cd mi dà i brividi, e poco importa che molti di voi possano pensare: "Ma come cazzo si fa a farsi venire i brividi per Renato Zero". Le opzioni sono due:
a) Alle quattro di mattina di un giorno qualsiasi di febbraio uscite di casa in mutande e vi fate un bel giro in motorino senza parabrezza, ovviamente ascoltando Renato Zero.
b) Vi scaricate questo cd e ve lo ascoltate oggi stesso. Secondo me, la più sublime prova d'interprete mai prodotta da un cantante/attore nella storia dello spettacolo italiano. E' da qui che me ne sono innamorato. E poi, non è forse vero che le passioni più belle sono anche le più insane?
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