Arriviamo a WPB alle 14. L’operatrice al desk in hotel dà per scontato che siamo lì per il concerto e ci consegna il foglio con la pubblicità dell’evento, le foto e le indicazioni per arrivare al mitico Sound Advice Amphitheatre. Già, che sbadate. Quello che per noi è L’EVENTO, lì è la quotidianità. Parcheggiamo la nostra Chevrolet proprio accanto ad un carrarmato con l’adesivo del firedancer e prendiamo possesso della nostra camera. Per pochi minuti, perché subito dopo abbiamo appuntamento all’hotel di Rodrigo Simas, webmaster di DMBrasil. Foto, feste, scambio di regali, viene filmato anche lo storico incontro, dopo 2 anni e mezzo di amicizia telematica, con Rodrigo e Dietre, la sua fidanzata. Rodrigo ci consegna il biglietto per la Zampa e ci chiede se vogliamo andare al Sound Advice con loro, subito. Sto per rispondere ma la Zampa mi anticipa dicendo che è troppo presto e che andremo a fare un giro per WPB. Ci diamo cosi appuntamento nel punto X (quanto mi pentirò di questa scelta, ma mai avrei immaginato che intendeva portarci al backstage!!)
L’arrivo al parcheggio (gratuito!!) del Sound Advice è uno spettacolo: ovunque accampamenti di americani con lettini, sdraio, barbecue, frigoriferi stracolmi di birra e la voce di Dave nell’aria che fuoriesce potente da stereo con volume a manetta. Ma quello che più ci colpisce è l’ordine, l’allegria, l’aria di festa. Sono tutti tranquilli e rilassati. Noi siamo nel pallone. All’ingresso mi bloccano per la macchina fotografica e dovrò, ahimé, lasciarla in auto. Il posto è fantastico. Un anfiteatro all’aperto che digrada verso il palco. Sugli spalti (il prato orlato di palme del famoso lown) una colorata e allegra massa di umanità è già in postazione. I posti numerati arrivano fino allo stage e dicono che l’acustica sia perfetta. Ci aggiriamo tra i chioschi e i baretti dove vendono da mangiare e diamo un’occhiata al merchandising. Mentre aspettiamo Rodrigo, un’americana mi abbranca la canotta su cui troneggia il logo DMBItalia cinguettando “I WANT THIS T-SHIIIIIIIIRT!!!!!”. Niente da fare le rispondo sorridendo ma lei insiste, chiama il suo boy friend per presentarci, sono esterrefatti dal fatto che siamo italiane, vuole assolutamente scambiare la mia canotta con la sua t-shirt extra large size su cui campeggia una scritta che dice più o meno “Io possiedo Dave Matthews”. Finalmente arriva Rodrigo che poco dopo rientra nel backstage per chiedere se può farci entrare. Noi restiamo li allibite. Arriva un tipo che ci soppesa curioso con lo sguardo, poi ci chiede se facciamo parte di “una specie di fan club italiano”. Certo, ma siamo cosi paralizzate dall’emozione che non gli diamo corda e lo trattiamo un po’ con sufficienza, ci chiede più volte se veniamo dall’Italia per il concerto….certo…. e saremo qui anche domani. E’ incredulo. Se ne va e torna trascinando Rodrigo per mano “Hai visto chi c’è? Vengono dall’Italia!”: Rodrigo scoppia a ridere certo sono mie amiche!! “Ma LO HAI DETTO A DAVE??” Rodrigo gli spiega che sta cercando appunto di farci entrare. Ci rendiamo conto solo ora che il tipo fa parte dello staff di Dave e che sta trascinando dentro Rodrigo per la missione. Ci tremano le gambe, siamo letteralmente incredule. Altra gente dello staff, richiamata dalle italiane magliettate escono per curiosare, ci sorridono, salutano etc.
Ma l’orario d’inizio dello show incombe e dentro ci sono quelli di Aol per l’intervista e le riprese. Troppo tardi. Rodrigo ci promette che ci farà avere i pass per il giorno dopo. Nel frattempo sta suonando il gruppo di apertura che in alcuni momenti ricorda Bruce Springsteen. Un nutrito gruppo di fans è davanti al palco ad acclamarli. In un attimo è lo show. Quando mi avvicino al mio posto mi sento mancare: sono quasi appiccicata al palco ed è con un filo di voce che rispondo ai miei vicini (tutti sempre incuriositi dalla maglietta e dalla mia provenienza). I miei vicini sono quanto di più eterogeneo si possa immaginare: età dai 14 ai 60 anni. Nell’aria l’intenso odore di marijuana garantisce fumo passivo per tutta la durata dello show. L’atmosfera continua ad essere molto easy, aria di festa e di allegria. Io sono un fascio di emozione, sono letteralmente annichilita. Il boato e il loro arrivo sul palco mi riporta ad una realtà cui faccio fatica a credere. Riconosco dopo mezzo nanosecondo l’intro di Don’t drink the water e mi sento al Central Park. Quante volte ho visto questa band in dvd ed ora che sono a due passi da me mi rendo conto che ciò a cui sto assistendo non ha proprio nulla di paragonabile a ciò che ho visto prima. Il sound è potente e perfetto, la DMB è composta da mostri sacri in sintonia perfetta. Carter è un polipo e la sua batteria sembrano espansioni dei suoi arti veloci, potenti, eleganti. Sorride sempre perché è fatto cosi, è di una simpatia travolgente e naturale, canta, ride, mastica la gomma e si destreggia tra rullate e potenti punteggiature come un re nel suo trono. Boyd è un animale da palcoscenico. La sua canotta nera trapuntata non lascia nulla all’immaginazione: mentre maneggia il violino con superba e selvaggia maestria, ogni più piccola fibra di ogni gruppo muscolare vibra e si tende all’unisono con i suoi balzi in avanti sullo stage accolti dal boato del pubblico. Dave ha una mise impossibile, infagottato in un paio di calzoni larghi a righe grigie che non si possono guardare. Imbraccia le sue mille chitarre e inietta in ognuno di noi energia pura. La sua voce è bellissima, arriva dalle caverne del dolore ed è dolce e intensa come un amore struggente. Rashawn potenzia il tocco di Leroi in maniera complementare e mai superflua o dissintona. Butch è impeccabile e trascinante quando fa da contrappunto con i suoi fraseggi latin jazz. Un po’ meno quando entra con i suoi falsetti alla Bee Gees. E Stephan…beh la sua bravura purtroppo fa i conti con una presenza scenica modesta, di uno che sembra sia stato catapultato li per caso direttamente dal Wyoming…ehy man!!!!
Balliamo e cantiamo all’unisono ed è già What would you say. In Proudest Monkey sono felice. Primo perché è una canzone che adoro, ma soprattutto perché un bel gruppo di spettatori ne approfitta per andare a bere, dunque mi infilo con discrezione superando l’attentissima security e sono in prima fila. Quando inizia Satellite mi giro verso Dietre, qualche fila indietro, perché so che è stato il pezzo che l’ha folgorata e iniziata alla DMB. I nostri sguardi si incrociano in un sorriso di intesa. The idea of you dal vivo è molto bella e, in questa prima notte a WPB, illuminata dalla luna piena tra le palme, è cantata bene, a differenza del giorno. Trascinante. Come lo è la successiva You might die trying. E finalmente (per me) Warehouse dal vivo!!!!! Una delle mie preferite in assoluto. La gioia di vivere, di cantare e di ballare ed eccoci li, tutti quanti, è bellissimo. In Sleep To Dream Her i settori si svuotano nuovamente e io, insieme ad un altro gruppetto, trascineremo davanti un ragazzetto con le stampelle (lo si vede benissimo nel video di aol, sempre in prima fila appiccicato al palco, la sera dopo, mentre acclama i suoi beniamini con la stampella) Quando Dave imbraccia la chitarra elettrica capisco che sta arrivando Smooth Rider, l’adoro. Si, mi sorprendo ad adorare ben due pezzi di Stand Up: Smooth Rider e Hunger For The Great Light (che faranno il giorno dopo, dal vivo è un delirio in cui ci si perde, ci si disfa e ci si ricompone, storditi). Cosi come amerò alla follia American Baby intro del giorno dopo (che nulla ha però a che vedere con Stand Up).
Ma è Last Stop la vera rivelazione. Il momento del concerto che mi farà capire il fenomeno della DMB in America e quanto sia lontana anni luce dall’Europa. Bisogna ascoltarla dal vivo: la musica non dà tregua, ha un ché di psichedelico, è una specie di vortice avvolto nella nuvola della marijuana che aleggia intorno a noi, tanti la ascoltano ad occhi chiusi perdendosi in un viaggio che pare non avere fine. Di colpo mi sento proiettata in una dimensione storica e culturale assolutamente diversa . Le caratteristiche stilistiche che hanno forgiato l’originalità del sound della DMB (quella fusion tra country, rock, jazz) non sono, forse, immediatamente fruibili dal pubblico europeo, più sgamato musicalmente, più vicino al background inglese, al post rock, al minimalismo o al grunge. Mi rendo conto che il più grosso bacino d’utenza americano della DMB è rappresentato dalla cultura hippie che tuttora negli States è molto forte e catalizza una stragrande maggioranza di studenti e di jam band. Last stop è stata la chicca di questa serata, un pezzo con i controfiocchi, suonato da degli dei capaci di ipnotizzarci e inchiodarci li, immobili, persi. Tutto il resto scorre con Pig, Can’stop, la sempre meravigliosa Crush, l’allegra Everyday, la strepitosa Ant’s Marching e la degna chiusura con So right e Tripping Billies.
Alla fine del concerto Dave lancia il suo plettro e Butch si avvicina proprio a noi e regala al ragazzetto con la stampella la set list autografata da lui. Poi è la volta di Carter, che lancia le sue bacchette ma li succede un finimondo. Una ragazza entra in possesso della bacchetta ma un energumeno l’aggredisce e gliela strappa a viva forza….di questo Carter verrà informato. E’ questo il motivo per cui la sera dopo consegnerà varie bacchette una per una nelle mani dei fortunati che lui stesso chiamerà davanti allo stage.
Set list:
Intro
Don’t Drink the Water *
What Would You Say
Proudest Monkey * >
Satellite *
The Idea Of You *
You Might Die Trying *
Warehouse *
Sleep To Dream Her *
Smooth Rider *
Last Stop *
Pig *
Can't Stop
Crush *
Everyday *
Ants Marching *
Encore:
So Right *
Tripping Billies *
* Rashawn Ross on Trumpet
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