Buio, silenzio, freddo, assenza, i volti in primo piano di Laura Dern e Nicolas Cage comunicano attraverso un telefono con frasi brevi e spezzate. Lei ama lui, lui lascia lei, e inizia il sogno. David Lynch ha dentro di sè un intenso orrore di base e lo mostra in due modi: c'è il Lynch delle storie lineari in cui l'angoscia sta sullo sfondo ("Una Storia Vera") e si manifesta talvolta tramite sporadiche eruzioni dal sottosuolo, principalmente incarnata dai personaggi ("The Elephant Man", "Velluto Blu", "Cuore Selvaggio") e c'è il Lynch surreale, più autentico, più spontaneo, in cui la storia assume un senso solo se la si guarda come fosse un incubo ("Mulholland Drive"), storie in cui vengono meno le basilari logiche di causa-effetto e non resta altro che immergersi nell'insieme onirico di immagine e suono ("Eraserhead", "Inland Empire", "Strade Perdute") senza voler a tutti i costi fare gli intellettuali e voler trovare fantasiose interpretazioni.

Questa rappresentazione teatrale del 1989 appartiene alla seconda categoria, David Lynch e il compositore Angelo Badalamenti realizzano assieme una sorta di background infernale della creatura "Twin Peaks" che in quel periodo stava nascendo, con Julee Cruise (che nella serie interpretava la ragazza che canta nella Road House) e il nano della Loggia Nera Michael J. Anderson. Già con "Fuoco cammina con me" Lynch mostrò cosa avrebbe voluto fare di "Twin Peaks" prima che il tutto virasse verso qualcosa che ricordava quasi "Beautiful"; con questa messa in scena realizza quello che si può considerare una versione sintetica e surreale delle atmosfere e dei sentimenti che durante la serie televisiva venivano messi in luce. Di luce qui ce ne è poca, ed è tutta per Julee Cruise che con la sua voce ed i suoi voli d'angelo contrasta le tenebrose ambientazioni industriali che le stanno attorno: ferro, vento, polvere, corrente elettrica. Sempre angoscia derivata dal moderno, sempre l'orrore della piccola provincia americana. David Lynch, terrificante mente visionaria confinata ai margini del razionale, riempie lo stage di elementi chiave del suo cinema: poche frasi sconnesse, tremanti lampadine, ruvidi rumori di seghe sulla legna (ricorda niente?), maschere, mostruosi esseri umanoidi, eleganti quanto inquietanti comparse, tanta musica. Tutto qui, centrifugato ed esposto al pubblico per una cinquantina di minuti. Michael J. Anderson compare come di consueto in un ruolo sinistro e mai ben definito, come uno spettro, forse la materializzazione delle paure di Lynch: pare sempre avere un ruolo superiore alle parti, il ruolo di chi tira i fili delle marionette, la stessa impressione che dava per quei pochi secondi di apparizione in "Mulholland Drive".

Ci sono opere di David Lynch che ti fanno continuare a fissare lo schermo nero mentre stanno scorrendo i titoli di coda, rapito dal sogno che ti rilascia poco a poco, ed è lì che ti rendi conto della grandezza di ciò a cui hai appena assistito; io ricorderò sempre quante ore mi ci vollero per rendermi conto che "Inland Empire" era terminato. Le canzoni qui interpretate da Julee Cruise sono contenute nei suoi due dischi "Floating Into the Night" e "The Voice of Love", in cui sono presenti anche altri pezzi scritti dagli stessi David Lynch ed Angelo Badalamenti.

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