La Voodoo Rhythm, presentandoli, le spara grosse: “Questo è il White Album dei Dead Brothers!!!” titola a caratteri cubitali la scheda sul loro recente terzo album.
Naturalmente la loro label ama scherzare.
Infatti aggiunge: “…e finalmente hanno anche una vera hit song…”
Eccola qui: guardate questo video.
Vi farete un’idea del mood che incontrerete entrando nella Camera delle Meraviglie allestita dai Fratelli Morti.
Qualche altro indizio sulla natura del combo lo attingete anche dal trailer del loro film.

Si, ma il disco com’è?
E’ bizzarro, come loro.
E’ una raccolta di quadri surreali, un’escursione tra una possibile Europa teatrale, balcanica e tzigana e l’idea di un’America vista con gli occhi dilatati di un blues corroso o indolente.
E’ abbastanza simile al ritratto che emerge dalla scheda: Cramps e J.Spencer Blues Explosion (“Old Pine Box”), Kurt Weill rivisto e scorretto al gusto di straniato pop blues con piccola sorpresa nella chiusa (“Am I To Be The One”) o strascicato ed espressionista (“Marlene”). Stralunato country allegro e sgangherato (“The Story Of Woody And Bush”), un’itinerante band da funerali con un mandolino che punteggia la melodia di una breve canzone dolente (“I Can’t Get Enough”) o una claudicante orchestrina swingante da vaudeville (“Greeg Swing”)
Una tentazione arabeggiante cantata in francese che inneggia ad un amore adorato “comme la salse del pomodoro” (“Mustafa”) ma anche una traversata, dai languidi toni nostalgici e fumosi, di zone immerse in penombre bohemien o da cronner (“Just a Hole”- “Time Has Gone”)
Ed una mistura di questi elementi, con un pizzico di Satie accennato tra le chitarre, ironicamente western e languidamente hawaiiane, e la scarna batteria che trotta, prima che si faccia il vuoto per l’ingresso della voce. Per poi riprendere sino all’ imprevista apparizione, nella lontananza sfocata dello sfondo, di un fantasma lirico sulle note accennate da un pianoforte (“Fred”)

Nella camera delle minuscole meraviglie sei al riparo dal parossismo e da eccessivi fragori.
Non c’è enfasi e non c’è l’ansia di stupire.
Non c’è trucco. Ma c’è inganno.
L’inganno di uno scherzo giocato con cura solo apparentemente distratta.
Esposto ad una luce che proietta ora ombre tremolanti, ora piccoli lampi ad illuminare espressioni beffarde o sornione.

Chitarre, batteria, basso tuba, banjo, tromba, fisarmonica. Questi gli strumenti.
Sono svizzeri, di Ginevra.
Wunderkammer è un bel disco.
Bizzarro, come loro.
Voto 3,5

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