I Demilich spiazzano. Non c'è nulla da fare, è nella loro natura. Spiazzarono ventun anni fa con un album folle, intricatissimo, sublime, e riescono a spiazzare tuttora. Là dove ti aspetteresti di leggere "anniversary", ecco "adversary": il ventesimo avversario del vuoto. È solo il titolo di una compilation, peraltro con ambizioni definitive, ma allude già al regno dell'esoterico, del filosofico, dell'astratto in cui questi pazzoidi finlandesi sanno portarti per mano.

Una compilation, questa, in cui c'è praticamente tutto. Il tentativo, compiuto dalla Svart Records a inizio anno, di riassumere una cult-band in due ore scarse di musica (ma non poteva essere altrimenti) e 40 pagine di booklet: un piccolo tesoro ricco di informazioni e curiosità, che racchiude, oltre ai testi dei brani, anche un'intervista col mitico cantante- chitarrista Antti Boman. Un vaso di Pandora degno di un vero demilich, sigillato da un eccelso artwork targato Turkka Rantanen, che pure a modo suo prelude tramite sintesi a ciò che travolgerà l'ignaro ascoltatore: un'entità aliena, multiforme, frastagliata, forse maligna, che trae alimento da remote origini gore.

Sul primo dei due dischi, che coincide col loro unico full-length, l'epocale "Nespithe" del'93, non intendo dilungarmi troppo, anche per rispetto della valida recensione al riguardo scritta dal buon PascalJ; qualche parola però, se non altro per ragioni emozionali, devo spenderla. Senza tanti giri di parole, abbiamo a che fare con un capolavoro dell'underground europeo (e forse non solo...): un technical death eccezionale rielaborato in chiave finnica, che stupisce e diletta dalla prima all'ultima traccia. I brani sono quasi chimere ineffabili, indomabili, che s'attorcigliano tra un'infinità di lampi di genio e cambi di tempo: meDal estremo mischiato a suggestioni di un jazz drogato. La prestazione alle pelli di Mikko Virnes è prodigiosa, capace di infondere costantemente nuova linfa nelle vene di questa creatura e di mantenere l'animo desto e attento; Aki Hytönen e Ville Koistinen (chitarrista e bassista) snocciolano riff di un altro pianeta, pazzeschi ghirigori su cui impazzire e strapparsi i capelli; e su tutto questo la voce di Boman, se di "voce" si può parlare... oh mamma... un growl da suino-alfa, gelido, spietato, profondissimo: l'elemento più controverso, che vi farà vomitare o amare fino in fondo questo gruppo. Ogni traccia possiede una ricchezza che si stenta a credere possa essere concentrata in pochi minuti; e nella ricchezza non mancano le gemme preziose, come il finale da urlo di "The Putrefying Road In The 19th Extremity" o una "Erecshyrinol" (notate i titoli) in cui l'ottimo Antti usa i suoi rigurgiti come punteggiatura. Con una produzione, inoltre, che non ha mai raggiunto questi livelli. Insomma, un disco da ascoltare senza indugio per gli amanti della musica pesante: da sparare a Domodossola, magari, in modo che lo sentano anche a 40 chilometri di distanza, mentre si tirano tremende testate contro le pareti...

Nel secondo disco si trova il resto, e il resto è diviso in due unità. All'inizio troviamo tre canzoni incise nel 2006 (le "Vanishing Sessions": il vuoto incalza!), di cui una ("The Faces Right Below The Skin Of The Earth") inedita: siamo su territori vicini a "Nespithe", ma a mio parere questi brani, pur ottimi, difettano del sapore di una volta, apparendo un po'troppo pompati. Il prosieguo raffigura gli esordi, il processo di gestazione che ha portato al capolavoro: e li raffigura in ordine inverso, per una miglior comprensione ed evitare strappi troppo bruschi. Le due demo del'92 presentano brani che in seguito, con qualche ovvia modifica, sarebbero confluiti in toto in "Nespithe": rispetto alla più recente, "The Echo", sono stati rimossi alcuni samples macabri e schifosi, indice di un certo interesse rimasto verso il gore, e da "...Somewhere Inside The Bowels Of Endlessness..." sono stati tolte alcune intro sinfoniche che nell'opera finale avrebbero stonato. Le prove del'91, poi, evidenziano chiaramente le origini finlandesi dei nostri: un Death metal malsano influenzato dal Doom e ancora legato a tematiche purulente, sottolineate da un growl, se possibile, ancora più devastante. Vi basti il primo vagito dei Demilich, la demo "Regurgitation Of Blood": un'unica traccia, "The Uncontrollable Regret Of The Rotting Flesh", che sembra registrata direttamente nella vostra cantina. Marciume vero, che evidenzia come questa evoluzione musicale, avvenuta nel giro di due anni, abbia dello sconcertante.

Preludio all'ennesima reunion post-scioglimento (i Demilich suoneranno in una serie di date nel 2015), "20th Adversary Of Emptiness" è un vero gioiellino che non può non ricordarmi il "Grind Finale" dei miei amati Nasum. Tuttavia, se in quello il percorso era lineare, qui si parte dopo le medias res, per poi sporgersi in avanti e, infine, come in un moto armonico, essere catapultati all'indietro. Che dire? Spiazzanti.

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