L'orrore, l'orrore, diceva Kurtz in "Cuore di tenebra". L'orrore che Marc Lépine irradiò e piene mani il 6 dicembre del 1989 all'interno del Politecnico di Montréal. Villeneuve, canadese, ha girato questo "Polytechnique" (2009) partendo da quel fatto e dedicando la pellicola alle famiglie delle vittime.

Lépine ce l'ha con le donne, le "femministe". Le vuole far fuori. Pochi fronzoli. L'obiettivo è "mandare al creatore le femministe che mi hanno sempre rovinato la vita". Il luogo prescelto è uno dei grandi classici degli omicidi di massa nordamericani. Villeneuve pedina killer e prede. Fatto salvo qualche breve tratto girato in città, la macchina da presa del regista è sempre dietro e davanti gli studenti del politecnico che fuggono davanti alla follia fatta uomo. Una follia lucidissima, calcolatrice, precisa, fredda come la Montréal spazzata dalla neve, resa glaciale e poeticamente vitale da un bianco e nero che guarda con piacere al cinema europeo dei tempi che furono.

"Polytechnique" non è "Elephant" di Van Sant. Al di là del valore dei due titoli, al di là dell'inevitabile somiglianza tout court, il film di Villeneuve non ha intento "antropologico", non ha la pretesa di spiegare il perchè dell'azione (come tentava di fare Van Sant), ma mette in scena, documenta, porta l'azione semplice e pura nella bocca dello spettatore. Niente "filtri" per addolcire la visione ma la realtà nella sua asetticità disturbante. Così com'è.

La linearità con cui l'assassino compie il suo massacro è amplificata dalla ricerca geometrica dell'inquadratura che ossessiona Villeneuve, con specchi che moltiplicano immagini, linee che si intersecano, altre che corrono parallele. Spazi al chiuso che opprimono ancor di più lo spettatore, portandolo tra quei corridoi e in quelle stanze. Straniamento percettivo e spaziale che porta la telecamera a travalicare muri e prospettive, ribaltando soffiti e volti. Formalità che diventa cinema anche nell'utilizzo inevitabile e altresì perfetto del montaggio alternato. Tempi, spazi, vite che si scontrano e si sfiorano.

Amaro oltre ogni limite (seguire la storia di J.F.), "Polytechnique" è uno straordinario esercizio di stile, registicamente coraggioso e non ridondante, capace di unire alla forma la grande vena drammatica da cui muove la pellicola.

Oggi Villeneuve è autore conosciuto, da molti anche apprezzato. Tra poco uscirà il fantascientifico "Arrival", in attesa del nuovo capitolo di "Blade Runner" a lui affidato. Se un giorno Villeneuve diventerà uno dei tanti nomi ad aver gettato il suo talento nelle fauci di Hollywood, potrà sempre dire di aver diretto "Polytechnique". Naturalmente mai arrivato in Italia...

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