INGARBUGLIATO.

Si può sintetizzare così, con una sola parola, Abrahadabra l'ottavo album dei norvegesi Dimmu Borgir.

Ora... lungi da me far tirare conclusioni troppo affrettate a coloro i quali capiteranno sotto gli occhi queste poche righe tantomeno sparare a zero gratuitamente nei confronti di una band già assai criticata in questo ultimo decennio,ma è un senso di malessere non troppo inaspettato quello che mi rimane dopo ripututi ascolti del platter in questione. Constatato che il precedente lavoro In Sorte Diaboli peccava di palese sufficienza stilistica, i due chiatarristi e mastermind Silenoz e Galder, preso atto delle critiche, si saranno chiesti fra loro: "..e adesso come la mettiamo?".

Il risultato è stato (anche qui) tanta confusione: prima l'addio polemico con due membri importanti quali Mustis (tastiere) e Ics Vortex (basso e voce pulita), poi il reclutamento del bassista dei Therion Snowy Show che è durato la bellezza di 24 ore, salvo infine affidarsi, almeno nelle studio session, a turnisti. Ritengo sia lampante per più attenti aver compreso che, nel 2010, i Dimmu Borgir hanno definitivamente fiutato il successo commerciale e soprattutto la strada da percorrere per raggiungerlo; basta guardarsi le foto sul booklet per rendersene conto... pacchiane nemmeno fossero ad una audizione per diventare nuovi membri dei Lordi!!

Detto ciò vorrei fare un excursus tra i brani che compongono questo Abrahadabra: dopo la trascurabile -cinematografica- intro "Xibir", si parte a sfron battuto con "Born Treacherous" che rappresenta, ne più ne meno, il compendio di tutta questa nuova fatica: inizio tirato e meritevole con un buon lavoro di chitarre poi improvvisamente a metà brano ecco un incomprensibile stacco effettato con echi quasi progressive dove si erige in primo piano una orchestra di 40 elementi (membro trainante fra alti e bassi di tutto il platter) la quale, francamente, mal si amalgama con il resto della song. Ma non sarà un tantino esagerata?!?!.

"Gateways" (il singolo) pone fine ai miei interrogativi con un incedere tutto sommato ben congeniato (grazie anche alla voce pulita femminile di Agnete Kjolsrud) dove le orchestrazioni -almeno qui-  fanno il loro dovere. Parere positivo anche nella seguente "Chess with the abyss" che, a conti fatti, si lascia ascoltare molto volentieri grazie ai suoi cambi di umore. Si arriva alle tracce 5 e 6 e qui siamo alle migliori composizioni dei Dimmu Borgir targati 2010: prima con "Dimmu Borgir" coi suoi ritmi cadenzati e un arioso gusto melodico finora davvero sconosciuto poi grazie a "Ritualist" dove il miscuglio base ritmica-chitarre-orchestra raggiunge il suo apice strutturale.

Ma proprio adesso che stavo quasi auspicando una seconda parte di album in crescendo che avviene una cosa imperdonabile. Praticamente l'album, nelle sue restanti 4 tracks, non offre più nulla di plausibile. Assolutamente fastidiosa la quantità di carne al fuoco che viene messa senza una parvenza di omogeneità ("The Demiurge Molecole" in questa senso fa cadere le braccia) e nemmeno la presenza alla voce del cantante degli Ulver Garm ("Endings and Continations") riesce a risollevare le sorti dei nostri.

In conclusione un album che prende sì nettamente le distanze dal suo diretto predecessore ma che non regge minimamente il confronto con "Death Cult Armageddon" che per sonorità è senz'altro l'album più simile a questo Abrahadabra; sinceramente non saprei nemmeno a chi consigliarlo: amanti del symphonic metal? Naaah ci sono decine di album più rappresentativi di questo, anche nel 2010; tuttavia non avrei minimamente il coraggio di consigliarlo a dei blackster (anche i meno oltranzisti) visto che è dal magnifico Stormblst che non presentano più certe sonorità.

Non basta buttare lì qualche buon riff, rendere anonima la base ritmica, rimpastare con una abbondante spruzzata di orchestra a coprire il tutto e affidarsi ad una ottima produzione per confezionare un prodotto sufficiente. Certo poi la distribuzione certosina della Nuclear Blast farà di Abrahadabra una successo commerciale assicurato ma questo,come si suol dire,è un altro discorso.

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