Che la vita sia difficile lo sappiamo tutti quanti. Però a volte, certi film servono per ricordarcelo. Non è esattamente questo l'intento di "Una vita difficile", ma in parte, forse, lo è.
"Una vita difficile, come tutti i film della commedia all'italiana (di cui, sia pure in modo particolarissimo, fa parte), non è un film sul futuro, ma sul passato e sul presente: o meglio su un presente sul quale pesa la delusione quasi quindicennale di una generazione che voleva cambiare il mondo e si trova a dover fare attenzione a non essere, essa, invece, cambiata dal mondo" (Dino Risi).
Le parole di Risi, regista del film, ci proiettano, con un balzo temporale di non poco conto, all'inizio degli anni Sessanta, esattamente nel 1961. Nell'Italia del boom e della ricchezza ostentata come simbolo di riscatto (sociale, ma anche morale) c'era chi era costretto a vivere la propria vita tra abusi e continui ricatti. Con queste premesse Dino Risi, con la preziosissima collaborazione di Rodolfo Sonego in fase di sceneggiatura, gira "Una vita difficile", splendida pellicola interpretata dal miglior Alberto Sordi di sempre.
Nel narrare le vicende di Silvio Magnozzi (Sordi), Risi realizza una delle migliori rappresentazioni storiche dell'Italia dell'immediato dopoguerra: dal referendum del 2 giugno a De Gasperi a Togliatti. Dentro c'è pressochè tutto: dalla presunta liberazione della dittatura all'illusione di una sana e robusta democrazia; dal cinismo dell'uomo qualunque alla presa di coscienza di valori ed ideali. C'è dentro un mondo, il mondo Italia, fotografato con occhio tecnicamente distaccato (non c'è mai pietà o commiserazione per nessun personaggio), eppure c'è anche tanta passione, tanta 'partigianeria' e nessun accenno di retorica.
Partigiano durante la guerra, giornalista dopo, Magnozzi lavora alla redazione de "Il Lavoratore", giornale indipendente della sinistra proletaria. Nel lavoro, così come nella vita, tenta di mantenere una determinata coerenza politica. L'onesta, specie quella intellettuale, non paga: finisce in galera, fallisce e viene abbandonato persino dalla premurosa moglie (una grande Lea Massari, attrice per anni ingiustamente sottovalutata). Tenta, una volta uscito dal carcere, di pubblicare un romanzo (titolo: "Una vita difficile"), ma l'unico lavoro che riesce a mendicare è di fare il segretario presso un industriale che anni prima aveva denunciato per esportazione clandestina di contanti. Quando però, il datore di lavoro decide di volerlo umiliare davanti a tutti, Magnozzi avrà una reazione insospettabile.
Può sembrare una sorta di rivisitazione corretta ed aggiornata di "Tempi Moderni" di Chaplin, e l'accostamento, a dire il vero, non sarebbe nemmeno così bislacco. Tutti e due i film parlano di lavoro perso, trovato ed infine riperso, ma soprattutto parlano della dignità del lavoratore. Solo che in "Una vita difficile" ci sono pochissime concessioni all'umorismo (Sordi fa ridere pochissimo, è spogliato di qualsiasi clichè comico e dimostra di essere, in tutto e per tutto, un formidabile attore polivalente), e poi c'è la coerenza politica come leit motiv generale: bisogna mercificare le proprie idee per ottenere un po' di successo o bisogna perseverare con le proprie certezze ottenendo magari una serie di clamorosi fallimenti?
E' chiaramente una domanda retorica, ma nell'Italia del 1961 non era proprio robetta. Così, se nel "Sorpasso" si raccontava il cambio culturale dell'Italia attraverso simboli e gesti tipici del boom (la mitica Aurelia, le feste notturne, lo yacht e le vacanze al mare), "Una vita difficile" non cerca di ottenere quell'effetto attraverso cose od oggetti (tranne in qualche rarissimo momento), ma attarverso la psicologia dei personaggi e la potenza delle immagini. Indimenticabili le scene di ribellione che Sordi ostenta nei confronti di tutto ciò che fa ricchezza: memorabile, quando barcollante ed ubriaco, sputa sulle auto di lusso di alcuni monarchici delusi dal risultato del referendum. E lo scatto finale di ribellione, quando getta in piscina il tanto odiato datore di lavoro, sono il simbolo più rappresentativo di un ex-ribelle tentato dal conformismo ma incapace di cancellare le proprie idee rivoluzionarie. Non vuole cambiare, mentre l'Italia lo sta già facendo.
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