"Dal 1985, perché a volte perseverare paga".

Uh, me lo ricordo ancora Flegias, quando ad un ormai storico Tradate Iron Fest del 2005 presentava i suoi Necrodeath, portabandiera del metal estremo tricolore dei tempi che furono, quando, per intendersi, "mp3" non voleva dire assolutamente nulla e le parole d'ordine erano "musicassetta demo" e "vinile". E anche "Metal Shock " e "HM", toh! Sempre avanti, sempre in piedi, nonostante i mille cambi, le battute d'arresto, i dischi così così. Una garanzia, insomma.

Ecco, lo stesso discorso, senza cambiare nemmeno una virgola, lo si può fare per i Dismember, fieri alfieri (questa è una mezza ripetizione, lunga vita alle mezze ripetizioni!) del death metal scandinavo che più incontaminato non si può. Sempre in giro dall'ormai lontano 1988, anzi proprio sempre no, perché si sciolsero a inizio anni Novanta e... tre mesi fa! I nostri, dopo anni di onorata carriera, devono essersi stufati o semplicemente hanno deciso di mettersi a fare altro. Naturalmente fino alla prossima reunion, che una reunion al giorno toglie la nostalgia di torno. Perché sciogliersi? Chissà, dei cinque francamente si erano perse le tracce da tempo, mai un concerto, non un disco, niente di niente e a questo punto avranno ben pensato di staccare definitivamente la spina. Un peccato, francamente, ma davvero forse dopo tutti questi anni non si poteva proprio chiedere di più.

Operai instancambili del metal più efferato, tra un lavoro regolare e tour che più che una trasferta di lavoro ricordavano una vacanza, in venti anni tondi tondi ci hanno regalato otto dischetti davvero non male, che nel loro piccolo hanno davvero contribuito a tracciare le coordinate di un genere, quel caro veccho death metal svedese così diverso dal cuginetto americano e così evocativo, tra cantato ultragutturale e la solita chitarra "a zanzara", con Iron Maiden e Judas Priest come eterni padri ispiratori. Ancora me li ricordo in un tour di qualche anno fa in compagnia dei vecchi compagni di merende Grave, Entombed e Unleashed, sembrava una rimpatriata di classe delle medie: facce allegre, tanta birra, quattro chiacchiere che non si negavano a nessuno. Un convivio, altro che tournée da palazzetto ultraffollato con fan impazziti e guardie del corpo.

I Dismember sono stati i Motorhead del death metal: totale coerenza da vent'anni, o zero voglia di cambiamento, fate un po' voi. Voce gutturale, chitarre zanzarose, rallentamenti che non fanno altro che mettere in evidenza il suono volutamente poco prodotto e "fangoso", soli di doppia chitarra mutuati pari pari dalla coppia Murray-Smith. La copertina del dischetto in questione è un riassunto di quello che da sempre sono stati i temi-ossessione del gruppo: religione, guerra e morte. Sarà proprio il fatto che parlano sempre di trincee e sbudellamenti che li rende in realtà dei ragazzoni pieni di vita? Basta vedere le foto del libretto, grandi sorrisi quando c'è da farsi fare l'autografo dagli Accept o tutti contenti con la magliettina nuova nuova dei Grave. Certo, l'abbandono di Fred Estby, storico batterista e fondatore, è stato pesante e forse ogni tanto si fa sentire, ma almeno il giovane Thomas Daun fa il suo lavoro, con un drumming tanto serrato quanto ricco di spunti interessanti. A conti fatti il disco è davvero ben registrato, con i vari strumenti in bella mostra ma senza mai risultare "leccato" e pompato, come un buon disco di metal estremo dovrebbe essere. Risentire un gruppo del genere, a questi livelli, nel 2008 non può che essere musica, in tutti i sensi, per le nostre fracassate orecchie, anche perché per diversi anni dei Nostri si erano un po' perse le tracce, tra qualche cambio di formazione di troppo ed album non proprio all'altezza (al giorno d'oggi chi si ricorda ancora di dischi fiacchi come "Hate Campaign"?).

Matti Karki ha una delle voci più riconoscibili del death europeo, la coppia Blomqvist-Persson riesce in più di un'occasione ad infilare degli assoli melodici al punto giusto e senza strafare: tecnica non stellare, ma quel che c'è è al servizio delle canzoni. La sezione ritmica? Ottima, un vero treno e ogni tanto se ne esce fuori anche con qualche guizzo degno di nota, cosa non sempre facile quando ti ritrovi a suonare canzoni del genere. Genere che, alla fine, si ama o si odia. Il death metal lo si potrebbe vedere come una sorta di strambo incrocio tra punk e progressive. Grezzo, aggressivo, spesso veloce ma che per essere realmente apprezzato ha bisogno di lunghi ascolti, scoprendo ogni volta qualcosa di nuovo, con album che crescono di volta in volta. Non è musica da sentire mentre siete inbottigliati sull'A4, ecco. I biglietti da visita di questo "Dismember"? Semplice, "Under a Blood red Sky", "Europa Burns", "To end it all", che non avrebbero davvero sfigurato sugli storici dischi di inizio anni Novanta. Finito il solito giro promozionale, infatti, degli svedesi si era persa ogni traccia dal 2009, per tornare a far parlare di sè solo in occasione di un DVD commemorativo e di un unico concerto di un paio di anni fa. A questo punto meglio chiuderla qui che ridursi alla cover band di sè stessi, ponendo il sigillo a quasi venticinque anni di onoratissima carriera con un ottimo lavoro e lasciando un buon ricordo di sè.

Si sciolgono i Dismember? Beh, lunga vita ai Dismember.

Dismember:

Matti Karki, voce

David Blomqvist, chitarre

Martin Persson, chitarre

Tobias Cristiansson, basso

Thomas Daun, batteria

"Dismember":

1. Death Conquers All

2. Europa Burns

3. Under a Blood Red Sky

4. The Hills Have Eyes

5. Legion

6. Tide of Blood

7. Combat Fatigue

8. No Honor in Death

9. To End It All

10. Dark Depths

11. Black Sun

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