Ancora emetto biossido di carbonio e tanto basta; sarà che l'aria passa da lassù, dove le barriere quadrate che decidono il percorso quasi si toccano. Non so se si restringono davvero o se la mia retina semplicemente accomoda quel che Brunelleschi già intuiva seicento anni fa; e comunque non è il caso di preoccuparsi, almeno finchè l'encefalogramma non riveli qualcosa di peggio rispetto a un quotidiano sonno ad onde lente.
I riverberi che attraversano il cervello attendono che la mia suola si posi sull'asfalto; ora segno un altro passo identico ad altri, così come il rullante sancisce nuovamente il compimento metodico e per nulla rassicurante d'un 4/4.
Pause. Fermiamoci un attimo, è inutile sprofondare in un viaggio metafisico da subcosciente paranoia metropolitana, quando non so neanche chi sia il creatore dei suoni che escono dalle casse del mio stereo. Cioè, so il nome, dj Distance, ma un minimo di contestualizzazione non guasterebbe l'ascolto. La rete mi propone un viaggio che da Kingston finisce, o rinasce, nel grande freezer londinese degli anni '90, dove la d&b contaminava i generi e a sua volta si evolveva, ora in direzione d'un minimalismo ossessivo, ora incontrando imprevedibili coerenze come nel caso del jazznbass. La strada, l'underground, era ed è un'enorme vinile di suoni nuovi; per un genere che si perde nel mainstream (house, trance, hip hop) un altro nasce tra i club e i lanci delle radio pirata (grime, dubstep). Siamo alle prime luci del 2000 e il dubstep arriva per tenerle basse. Non ci sono lustrini da dancefloor.
Dj Distance, dicevamo. (ri)Play.
Il suono. Ogni suono. Il suono come entità, il suono in quanto tale. La funzionalità, la subordinazione alla melodia, alla composizione, passa in secondo piano. Perchè lo spazio sonoro, il trascorrere sonoro, sono espressivi di per sé, almeno se trattati come in "My Demons". Spazi sonori che inseguono si l'estetica dell'elettronica (riverberi "freddi" che tagliano il tema, delay che sbalzano le metriche, ditorsioni che rendono irriconoscibile il campione originale) ma che, soprattutto, guadagnano dal magistrale accostamento con emissioni "pure" (i bassi della title-track, la doppia cassa di "Traffic", le percussioni di "Fractured") quell'astrazione carica di fascino e stile che permea le dodici tracce. La regolarità ritmica è un inganno e un pretesto per sciorinare finezze (l'intreccio bassi/beat di "Weigh Down") e fondere generi (va letta in chiave tipicamente rock la costante presenza di un "riff", valga per tutti l'esempio di "Confined", con la voce distorta che si traveste da chitarra industrial). Ad alimentare tutto, in un doppiofondo volutamente malcelato, quell'aria leariana da "Turn on, Tune in, Drop Out" che ci ricorda che il tempo di aprire le "porte della percezione" non è mai passato, a patto di accettare la meccanicità sterile di quello che ci si può rivelare tra le barriere quadrate che decidono il percorso, mentre emettiamo ancora biossido di carbonio. E tanto basta.
Elenco tracce e video
Carico i commenti... con calma
Altre recensioni
Di Ghemison
"My Demons è un disco evocativo sin dal titolo."
"Questo disco è soprattutto la rivelazione di un talento che difficilmente può essere ignorato una volta incontrato."