L’uomo del labirinto.

Dopo l'esordio con La ragazza nella nebbia Donato Carrisi torna dietro la cinepresa per portare sul grande schermo un altro suo best seller, L'uomo del labirinto.

L’opera annovera nel cast due grandi attori: prezzemolino Tony Servillo e il marchettaro Dustin Hoffman.

Oh ma vaffanculo vah.

L’uomo del labirinto è un pastrocchio noioso e disomogeneo.

Si svolge su due piani paralleli autonomi ed indipendenti tra di loro.

Da una parte abbiamo Samanta Andretti, 28 anni. Aveva 13 anni quando fu rapita dall’uomo coniglio ed è stata segregata per 15 anni in un labirinto.

Ora Samanta è stata liberata, ha una gamba rotta, si trova in un letto d’ospedale. Accanto a lei il dottor Green (Dustin Hoffman) uno specialista, un profiler. Il suo compito è interrogare Samanta affinchè possa condurli, attraverso i suoi ricordi, al rapitore.

Dall’altra c’è Bruno Genko (Tony -sigaretta- Servillo) un investigatore privato a fine carriera che all’epoca venne assunto dai familiari di Samanta per ritrovarla ma fallì nell’impresa.

Il film attinge spudoratamente a vari clichè rimandi e citazioni/scopiazzature tipici di un thriller-horror. Un minestrone di riso endivia e deja-vù. Donnie Darko (e Inland Empire?) ed un ridicolo uomo-coniglio con gli occhi a cuore. Un pizzico di Seven, un soffritto di Saw, un concentrato di The cube ed il piatto è servito. Un puzzle cubista con i pezzi messi a caso da un ritardato di talento. Il fim non emoziona, non coinvolge, non mette paura. Qua e là affiora timidamente qualche sequenza azzeccata ma sono spari nel buio.

Anche la scrittura è piuttosto (molto) inverosimile per non dire pasticciata. Come viene condotta l’indagine da Genko ad esempio **SPOILER cioè dai il pezzo che lui sente la telefonata anonima entra in un pub scalcinato e in due secondi riconosce la voce FINE SPOILER** per non parlare del colpo di scena finale e dei mischioni trick-track alla Pulp Fiction.

Dustin Hoffman sembra un angelo caduto dal cielo. Pacato, sereno, monocorde col pilota automatico non ci crede manco lui. Ogni tanto si mette una mano in tasca per tastare l’assegno che gli hanno dato e no gli hanno garantito più volte che non è scoperto.

Servillo invece si sbatte come suo solito. Qua è vecchio sporco sudato malato di cuore e fuma fuma fuma in continuazione. Ma è Servillo, cioè vedi Servillo non vedi Bruno Genko (è un suo limite, spesso schiaccia il personaggio non si mette al suo servizio).

Ma loro anche se fanno il compitino sono due grandi attori. Vogliamo parlare dei comprimari? Della loro recitazione sopra le righe, dei dialoghi improbabili? Aspetti che mi hanno ricordato i film di Dario Argento dove spesso emergevano dialoghi e recitazioni sconclusionati, sopra (e fuori) le righe, appunto.

Vabbè basta dai che altro vi devo dire?

No ma andatelo a vedere che è bello.

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