DOWN II - A bustle in your hedgerow

A distanza di ben 7 anni dall’uscita di Nola (1995), i Down, riuscirono ad incastonare ancora una volta una piccola gemma nel panorama musicale americano, con una prova di altissima classe. Ingiustamente dotato di poca visibilità, il secondo capitolo del quintetto lascia nell’orecchio dell’ascoltatore un eco meno rabbioso rispetto al precedente lavoro, risultando tuttavia molto viscerale e profondo. Frutto di un lavoro spensierato e passionale, magistralmente guidato da un Phil Anselmo in forma davvero eccelsa, Down II, vede la luce con la new entry Rex Brown(ex Pantera)che sostituisce al basso Todd Strange, permettendo cosi’, in piccola parte, di diminuire la completa supremazia dei nativi di New Orleans presenti nel gruppo.

L’album parte a razzo con una “Lysergik Funeral Procession” composta da una serie di riff puramente sabbattiani apparsi già nel precedente capitolo, la seguente “There’s Something On My Sight” (non li potevano fa piu’ corti sti titoli!?!) continua nel trend doom dei miti di Anselmo, sottoponendo quest’ultimo all’utilizzo di una voce schizzata al massimo riproposta anche nella terza song dal torvo nome “Man That Follows Hell”. La macabro-ironica (se la si può cosi’ definire) “Stained Glass Cross” parla ancora uno “spiccato accento” settantiano presentandosi morbida e di facile ascolto, coadiuvata egregiamente dall’inserimento dell’organo nella parte finale. L’atmosfera oscura e claustrofobica di “Ghost Along the Mississipi”, e’ fortemente caratterizzata dai riff di Kirk e Peeper, capaci di creare un sound decisamente grezzo ed aggressivo che viene momentaneamente abbandonato quando dalla dimensione dolcemente malinconica avvolta intorno a “Learn From This Mistake”, pezzo di assoluto valore nel quale, la calda e ruvida voce del frontman, pare crogiolarsi beatamente tra i trascinanti assoli delle due chitarre.

Riappare fugacemente la lunga ombra degli anni settanta con “Beautifully Depressed” che, senza colpire nell’immaginario, lascia spazio al pezzo acustico “Where I’m Going”, impregnato del miglior romanticismo Sudista, il quale viene reso maggiormente vivo e delicato dalla voce di un maturo Anselmo. A farci ritornare sulla Terra con un poderoso calcio in culo ci pensa un’incazzata “New Orleans Is A Dying Whore”, martellante e pachidermica come la mia ex prof di italiano, lascia il segno nelle cavità uditive. Ritmi pesanti, distorti e classico inno alla marijuana sono invece le prerogative presenti nel brano di “The Seed”, le quali vengono invece magicamente cancellate dal trascinante ritmo blues di “Lies, I Don’t Know What the Said But…” che nella crescente e palpitante progressione finale, si evolve, forte della voce alcolica del signor Anselmo, donando una spiccata originalità al sound. La veloce e prorompente “Dog Tired”, è il preludio che apre il sipario all’ultima scena rappresentata da un altro pezzo acustico di matrice fortemente introspettiva dal titolo “Landing On The Mountains Of Meggido”.

Dalla lettura della recensione si evince una indubbia esaltazione nel parlare di questa band, che vi assicuro essere senza ombra di dubbio totalmente giustificata. In attesa della terza uscita prevista entro l’anno, consiglio vivamente di procurarvi (per chi non li conoscesse) anche il precedente (e fantastico!) "Nola", in modo tale da assumere una visione più ampia sulle sonorità di questa immeritatamente sottovalutata band. Questa era la mia prima recensione, spero vi sia piaciuta, ciao alla prossima!

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