Cominciare una vera e propria recensione che sappia render merito di quanto successo quella sera di luglio del '56 è praticamente impossibile. Onestamente, bisogna saper riconoscere dei veri e propri limiti oggettivi. Non tanto perché quanto espresso dalla Big Band durante l'intera esibizione è intraducibile in forma scritta: i solchi del vinile sono lì a testimoniare la perizia artistica e la capacità interpretativa di una delle più grandi ensemble nella storia del jazz.

C'è qualcosa che va al di là della scaletta presentata quella sera. Bisognerebbe immergersi totalmente nell'atmosfera di quell'evento. Le dita che a Newport suonarono quel pianoforte non godevano più del plauso cui erano abituate; quelle dita dovevano correre più di quanto non avessero fatto prima, dovevano raggiungere di nuovo una scia che stava svanendo. Aggrapparsi con tutta la forza possibile agli ultimi bagliori percepibili: tale era la responsabilità che pesava sulle spalle del duca.

Dopo un ventennio di dominio più o meno incontrastato nel panorama jazz, Duke Ellington doveva cominciare ad accettare l'idea di esser messo da parte, di appartenere ormai a qualcosa di fatto e compiuto. Il clima post-bellico aveva sempre più favorito l'ascesa di un jazz più libero, sghembo, incentrato su un ristretto numero di elementi. Il crescente interesse prestato al Bepop e al Cool Jazz aveva creato una patina di stantio sulla figura del duca: raramente un artista è riuscito a riemergere dal catalogo delle "vecchie glorie".
La possibilità che Duke Ellington fosse annoverato tra le stelle di un passato lontano, con un carrozzone di musicanti atto a riproporre una scaletta di classici, era di lì a concretizzarsi. La Big Band sosteneva le sue tournée con i proventi ricavati dai vecchi classici del duca: non era un mar calmo quello in cui si navigava. Si pensi che, in quel momento, l'orchestra non aveva nemmeno un vero e proprio contratto.

Come un artista sul viale del tramonto, Duke Ellington salì sul palco del Newport Jazz Festival conscio di doversi giocare il tutto per tutto.

Le cose non iniziarono certo nel migliore dei modi: la prima sezione vede l'assenza di alcuni membri dell'orchestra, introvabili all'inizio del concerto. Dopo una pausa per lasciare spazio agli altri artisti in programma, il duca e la sua orchestra tornarono sul palco, stavolta al completo. Nonostante ciò, il pubblico di Newport rimaneva distaccato, distante, lontano dall'entusiasmo che il duca avrebbe voluto suscitare.

Nella suite successiva, però, accadde qualcosa che cambiò completamente le carte in tavola: la sezione "Diminuendo e Crescendo in Blue" è uno dei motivi grazie ai quali questo live assurge allo status di leggenda. Perché è questo che la serata a Newport rappresenta: uno dei momenti fondamentali nella storia della musica jazz tutta.

Duke Ellington offre al pubblico una rivisitazione della sua celebre suite, proponendo un lungo assolo di sax a sorreggere la parte centrale (quello che in futuro sarà ricordato come il leggendario solo di Paul Gonsalves a Newport). Una mastodontica composizione comprendente 14 ritornelli. Gonsalves improvvisò su quella suite fino a crollare esausto, con il duca che lo incitava a continuare, conscio dell'importanza di quello che stava accadendo. Il pubblico, fino a quel momento per lo più immobile, si ritrovò a ballare sulle note della Big Band, prendendo parte a quella che sarà la rinascita della carriera di Ellington. Ancora è possibile sentire l'entusiasmo del duca e della sua band crescere durante l'esecuzione. Quasi è possibile vedere la folla precipitarsi sotto l'orchestra.
Con un pubblico oramai in delirio, l'orchestra continuò l'esibizione in maniera impeccabile, andando ben oltre la scaletta prefissata.

Toccherà poi al duca accomiatarsi sulle note di "Mood Indigo", di fronte ad una folla divenuta ormai insaziabile. Il saluto finale di Duke Ellington sigilla uno dei grandi momenti della storia del jazz, un live che cambierà in toto la sua carriera a venire. Da stella sull'abisso del declino, il duca è risorto quella sera a Newport. L'impatto di quel concerto sarà talmente forte che Duke Ellington ne godrà fino alla sua morte. Gli applausi scroscianti di quella sera impediranno alla stella del duca di affievolirsi.

Le vicende discografiche di questo live rimangono abbastanza intricate. Pare che nell'immediato il duca non fosse soddisfatto del risultato e avesse registrato ulteriormente parte del materiale in studio. Grazie alla scoperta di alcuni nastri nel 1996 si risalì alla versione integrale di quell'evento. Ciò condusse alla famosa edizione del 1999, tuttora accreditata come la più affidabile in termini di qualità audio e resa dell'esibizione.

In ogni caso, il live a Newport rimane la testimonianza diretta di uno degli apici di un inarrivabile artista del novecento; da conservare gelosamente per tramandare ai posteri.

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