"Cosa faresti se sapessi che ti resta da vivere meno di un minuto?"

Guardando all'operato del regista, Duncan Jones sembra essere un figlio di cui anche un padre già celebre di suo come David Bowie può andare fiero.

Il 2009 è stato l'anno del debutto: "Moon" opera viscerale, poetica e filosofica, 2 soli attori in scena per (quasi) l'intera pellicola e un regista che già al primo film sfiora il capolavoro ed è persino pronto a ripetere l'impresa due anni dopo.

Chicago. Immagine della skyline del centro della metropoli si alternano rapidamente a riprese di un qualunque treno di pendolari che viaggia verso la città in suggestivo contrasto tra la visuale del centro e la periferia che piano piano diventa città.

Un uomo (Jake Gyllhaal) si sveglia sul nostro treno, di fronte a lui una bella ragazza che lo conosce anche se lui non riconosce lei, l'uomo dice di essere il pilota di elicotteri Colter Stevens ma impiega poco a capire che c'è qualcosa che non va, l'uomo nello specchio non è lui ma Sean un semplice insegnante. Il tempo di rendersi conto dell'assurda situazione e tutto salta in aria, tutti i passeggeri del convoglio muoiono in un'esplosione che inghiotte anche un treno merci che viaggiava in direzione opposta. Nonostante ciò, Colter non è morto, si sveglia in una strana capsula dove viene sottoposto a qualche test di memoria e via, a ripetere l'esperienza. E poi ancora, e ancora, prima di scoprire che questo è il programma "Source Code".

"meccanica quantistica, calcolo parabolico"

Poche volte un'idea così cerebrale, nasconde un cuore pulsante del genere, questa vitalità e questa velocità. Tutto torna sì, ma con un inghippo con il dovere di stare ai patti, alle regole stabilite dall'inventore del Source Code.

Ma non c'è solo questo in "Source Code" c'è un racconto a più livelli, una componente psicologica sempre in movimento e sempre più ricca, un puzzle da completare, c'è il tempo intorno al quale ruota tutto, c'è un futuro e la convinzione che non potrà essere cambiato, c'è la sfida che porta alla rinascita, al miglioramento, alla tanto agognata seconda opportunità.

Come nel debutto, Duncan Jones porta su pellicola l'incubo di un progresso che per alcuni non è più tale, quello di un deragliamento dello sviluppo tecnologico, non più la temuta tecnocrazia e neanche l'autodistruzione del genere umano tramite i suoi nuovi giocattoli ma il ripristinamento di vecchi schemi, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Nuove tecnologie che portano a nuova schiavitù, un paradosso nerissimo che tocca anche l'impensabile. Nuove oppressioni che portano a una nuova coscienza di sè, a nuovi desideri e a nuove lotte. Fino a una sudata riaffermazione dopo tanto soffrire

Ma si può trovare anche di più in questa fantascienza sempre più umana contrapposta a una scienza sempre più cinica che si spera essere solo un brutto sogno

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