In una sera giunta troppo presto, tra le pieghe del suo trascorrere lento, nell'aria del mio appartamento che non scaldava il novembre come avrebbe dovuto, ho scoperto questo artista. La lettura distratta cedeva il passo al sistemare libri, al contemplare la disposizione del divano e, ancora, ritornare davanti alla libreria, stavolta a lanciare occhiate veloci solo ai titoli, qualcuno di essi araldo di ricordi che caratterizzavano il periodo. Ricordi che, stranamente, non volevo rievocare, non volevo s'insinuassero tra queste pieghe, tra questi svogliati, transitori momenti.
La noia stava conducendo le danze. Solo lei. Qualsiasi altro pensiero, azione o anche solo consapevolezza di questo, a bordo pista, a guardare. E io non volevo. Non volevo il torpore mentale, la sonnolenza dell'intelletto, il silenzio delle emozioni assopite (quella sera braci ardenti sotto uno spesso strato di cenere). Forse questo fondersi del mio sentire con l'ambiente che mi circondava attendeva solo di essere assecondato. E se il piacere spesso avvolgente della lettura, allora non era consolatorio, solo la musica poteva qualcosa. Qualcosa che fosse scritto per l'ascolto in cuffia, un ascolto che concedesse una parvenza di intimità e isolamento.
E quindi, Dustin O'Halloran.
Inascoltato sino ad allora, l'album mi era stato prestato da un amico, sempre attratto dagli artisti (in particolare della tastiera) che ne solleticassero l'indole malinconica e contemplativa. Ma soprattutto, del suo nome ero venuto a conoscenza grazie a una splendida recensione qui su DeBaser. Mi ha colpito la bellezza con la quale erano state descritte le emozioni generate nell'animo del recensore, come questi avesse creato una galleria di immagini splendide e vivide. Vivis che l'hai scritta, se non nell'esporre con la maestria della tua prosa, posso almeno condividere l'intensità di queste emozioni.
Emozioni che sono come l'acqua di un fiume non troppo grande. Se vi si getta un sasso la corrente viene scossa e si spezza la quiete dei suoi argini. Speravo questo ascolto fosse appunto un sasso, il più grande possibile, il più disturbante. Perchè certo, la quiete di quell'acqua, era la perfetta descrizione del mio stato d'animo quella sera. Una quiete fangosa, lenta, i fondali non si vedevano, troppa mota e detriti sulla superficie.
Ho ascoltato d'un fiato, stupito di tutto, dei suoni, delle atmosfere, dei preziosi momenti di piacere che hanno creato affluenti nei quali solo il fango, non l'acqua pura impedita da esso, si riversava. Ed era portato lontano, bandito in luoghi remoti del mio animo.
Io che amo Chopin, il genio sognante ed evocativo che aveva nel pianoforte lo strumento attraverso il quale far fluire l'essenza del romanticismo in musica, non posso che trovare una continuità, almeno spirituale, in Dustin O'Halloran. E tanto basta.
Spero Vivis raccolga la mia personale esortazione a recensire anche questo "Piano Solos Vol. 2" (che confido abbia già ascoltato - magari non in una serata così complicata e cervellotica -). Intendo proprio recensire (come ha lei dimostrato di saper fare impareggiabilmente), più che, come ho fatto io, tentare di descrivere per disordinate e strane immagini il mio stato d'animo e come questo è stato cambiato in una sera dalla musica di Dustin O'Halloran.
Ah, la quiete del fiume si è poco a poco persa nel turbinio che sfocia, infine, inevitabilmente, in una cascata alta e spettacolare. Non si è trattato di un semplice sasso che appena increspa.
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