Great TRIP In The Sky.

Dopo la 13° recensione ossessionante del lato scuro della luna, eccovi allora questa chicca della “faccia DUB della luna” che è mooolto meno scura dell’originale ma che, anzi, si illumina del sole giamaicano di primavera! Questo è The DUB side of the moon (2003) degli Easy Star All Stars.

In pratica è come se prendessimo Waters, Gilmour & soci e facessimo loro un’operazione di maquillage fino a ieri impensabile:
- Via quei luridi capelloni hippy: dreadlock per tutti!
- Basta con gli acidi e robette pasticcose, la parola d’ordine è: cannoni a manetta!
- Stop coi ritmi in down-tempo, gli accordi armonici semplici e le atmosfere dilatate: ritmi regge e atmosfere ancora più ipnotiche e… dilatatissime!

Ecco così che un capolavoro senza tempo che bla bla e bla (vedersi le innumerevoli rece del disco dei Pink) si rifà il look e si affida a questa super band (che sono poi degli ottimi musicisti di lusso, in pratica dei grandi turnisti misti a grossi nomi della musica jamaicana come Frankie Paul, Gary "Nesta" Pine (Wailers), Dr. Israel, The Meditations) la reinterpretazione in chiave regge & dub dell’intero disco, riformulando le atmosfere in una lettura insolita e straniante ma direi, tutto sommato, ben riuscita.
In pratica se prima il trip era qualcosa di latente e lisergico, ora si va dritti al trip-da-cannabis pesante, che ovatta il groove e lo raccoglie in arrangiamenti stravolti ma che al tempo stesso ne racchiudono l’essenza originale (ascoltate dei sampler qui!). Insomma: stiamo parlando di un disco che è uno dei maggiori fenomeni discografici reggae degli ultimi dieci anni, con una permanenza stabile di quasi due anni nella Billboard's Top Reggae Chart (cosa accaduto in passato solo a gente del calibro degli UB40, Sean Paul e il solito Bob Marley, per dire!).

Insomma, come non restare amaliati e piacevolmente spiazzati dall’intro di Speak to Me/Breathe (In the Air) o da Money dove il rumore iniziale dei soldi è sostituito da quello di un bong ad acqua misti a colpi di tosse. Come non lasciarsi incantare da On The Run, impostata su una ritmica ritmica jungle, proseguendo idealmente il naturale sviluppo del pezzo originale. Time poi, prende nuova vita con le voci dei due cantanti, che scorazzano per tutto il brano alternandosi a decantare i versi originali. Arriva pure la leggendaria Us And Them, ipnotica e intrippante come mai, nebulosa e trascinante con quel suo incedere indolente e rilassato in territori oscuri e a dir poco fumosi.
Al tutto vanno aggiunte Great Gig In The Sky (con la singer di turno che ci fa volare alti in territori mai raggiunti prima), la calorosa Any Color You Like, con l’aggiunta di una specie di medley: Step It Pon The Rastaman Scene.

Un disco che non fa in tempo a finire che vien subito voglia di riascoltarlo dall’inizio in un unicum continuo senza distinzione tra un pezzo e l’altro. I puristi dei Pink Floyd immagino che lanceranno un urlo inorriditi e si terranno alla larga ma per chi non idolatra nessuno ed è sempre propenso a spararsi quasi 70 minuti di buon regge, direi che ne vale davvero la pena.

Insomma: tanto fumo e tanto arrosto!

P.S. Da segnalare (dello stesso gruppo) anche “Radiodread” con la rivisitazione in chiave reggae del leggendario “Ok Computer” delle teste radiofoniche che non ho ascoltato ma che a questo punto muoio dalla curiosità di farlo…

Carico i commenti... con calma