Vietnam, 30 gennaio 1968 - Sentiero "Ho Chi Minh", sfondo notte.
E' la vigilia del Tet Nguyen Dan, il capodanno vietnamita e i militari del NVA con l'ausilio di una corposa formazione di vietcong, si stanno insinuando tra le sterpaglie del sentiero, passando tra il Laos e la Cambogia per sferrare un attacco a sorpresa alla base americana di Khe Sanh. L'operazione, meglio conosciuta come "Offensiva Tet", si trasformerà in un sanguinoso assedio che vedrà i marines costretti a resistere per due mesi agli attacchi organizzati e supervisionati dal Fronte di Liberazione Nazionale.
I pellerossa, stanchi delle continue vessazioni nemiche, decidono di attaccare il fortino con ogni mezzo adeguato all'offesa. Gli occupanti della base saranno costretti a nutrirsi e fornirsi di munizioni mediante la manna artificiale piovente dagli avvoltoi di ferro Lockheed C-130 Hercules. I pellerossa non riusciranno ad impossessarsi del fortino e nessun totem verrà innalzato. Saranno veramente tante le piume che, appesantite dal sangue, si adageranno sul campo di battaglia. Così come non sarà assolutamente sotterrata l'ascia di guerra. Anzi, ne verranno esumate altre.
A Saigon, durante i combattimenti di strada del secondo giorno di offensiva, Van Lem, un attivista politico, viene catturato dalle milizie dell'esercito sudvietnamita, alleato con quello statunitense. Sembra che abbia ucciso alcuni marines durante gli scontri e per questo viene sottoposto ad un "processo" sommario e quindi sommariamente condannato a morte per il reato plurimo commesso, oltre ad avere il marchio presunto di vietcong. Una requisitoria e un giudizio che ricordano i metodi della feroce NKVD di Stalin. Viene consegnato al Generale Ngoc Loan che "per carità patriottica" fa calare la scure del boia, senza alcuna esitazione.
Alla materializzazione della sentenza sono presenti un cameraman della NBC e un fotoreporter di guerra dell'Associated Press, Eddie Adams. Van Lem viene condotto sul ciglio di una strada polverosa, con i polsi uniti dietro la schiena. Non ha il tempo di costruire un pensiero, seppure fosse l'ultimo. Non ha neanche il tempo di pregare, forse. Il generale impugna la pistola di ordinanza e tende al massimo il braccio armato. Il cameraman riprende, Adams scatta. In un frammento preciso di tempo che per quanto possa essere rapido contiene troppi particolari. Mentre un fulmine attraversa il cervello del presunto vietcong, il fuoco si disperde, il rinculo mette in evidenza i muscoli del braccio freddo dell'esecutore. Freddo come lo sguardo appena percepibile.
Un'onda d'urto calda smuove la camicia a quadri del prigioniero, scompone i suoi capelli, disegna in viso una smorfia raccapricciante. Quegli occhi già stretti per fisionomia, tendono a chiudersi oltremodo. Un frammento prima attendono il fulmine e un frammento dopo ne accusano la violenza. Adams ha una virgola ancora inferiore per voltarsi e scostarsi. Quel granello di tempo che altrimenti lo avrebbe macchiato di sangue e materia cerebrale. E' il I febbraio del 1968.
Eddie Adams vince il Premio Pulitzer nel 1969. Van Lem, forse riposa in pace. Ngoc Loan smette di vivere tranquillamente. Le immagini fanno il giro del mondo, si scopre che Van Lem non era un vietcong e che ad ogni modo, l'esecuzione a freddo è stata fin troppo brutale, contravvenendo alla Convenzione di Ginevra. Nel tempo, dopo essersi congedato e aperto una pizzeria in Virginia ha cercato di giustificarsi, anche in un'intervista ad Oriana Fallaci. Tra un: "...non era in divisa e io non posso rispettare un uomo senza uniforme che uccide dei militari..." e un "...lei cosa farebbe ad un uomo che ha ucciso tre o quattro suoi alleati...", nulla riesce ad ammorbidire il timbro a secco del criminale di guerra affibbiatogli dalla stampa e dai media. Un giorno, dopo qualche tempo in sordina, la foto viene nuovamente pubblicizzata. Sulla porta del bagno della sua pizzeria qualcuno scrive: "Sappiamo chi sei". Gli spettri del passato tornano ad ululare.
Adams, riflettendo sulle ripercussioni avvenute e analizzando il contesto in cui venne commesso il crimine, si scusò pubblicamente con il generale per il "disonore" causatogli, promuovendolo addirittura a "eroe di guerra per una giusta causa".
Io non saprei giudicare.
Se questo è un uomo.
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